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domenica 29 marzo 2020

Dan Sperber, L'effetto guru

L'oscurità dell'espressione è considerata un difetto. Non è così, tuttavia, nel discorso o nella scrittura dei guru intellettuali. (1) Non è solo che i lettori insufficientemente competenti si astengono, come dovrebbero, dal giudicare ciò che non capiscono. Troppo spesso, ciò che i lettori fanno è giudicare profondamente ciò che non sono riusciti a comprendere. L'oscurità ispira timore reverenziale, un fatto di cui sono stato fin troppo consapevole, vivendo nella Parigi di Sartre, Lacan, Derrida e altri famosi (ma difficili da interpretare) pensatori. Qui provo a spiegare questo "effetto guru".
Esistono due modi di avere credenze nella propria mente.
Il possesso di una credenza può essere sperimentato, nella misura in cui viene sperimentato, come semplice consapevolezza di un fatto, senza consapevolezza delle ragioni per ritenerlo un fatto. Così si svolgono la maggior parte delle nostre credenze ordinarie. Sono fornite dai nostri processi cognitivi spontanei, l'affidabilità dei quali diamo per scontata senza esame. Credo che ci sia il sole perché vedo che c'è il sole; credo che ieri abbia piovuto perché ricordo che è successo; e credo che tu sia di buon umore perché è così che interpreto spontaneamente l'espressione sul tuo viso. Qui, "perché" non introduce ragioni che potrei aver soppesato nel formare queste credenze, ma i processi causali attraverso i quali vengo ad averle. Tali credenze sono "intuitive", nel senso che si impongono senza che noi siamo consapevoli del processo attraverso il quale lo fanno.
Altre credenze le ho perché credo anche che ci sia una buona ragione per averle. Credo che domani ci sarà il sole perché così diceva il bollettino meteorologico e trovo che le previsioni del giorno dopo siano abbastanza affidabili. Credo che tu abbia appena fatto pace al telefono con il tuo amico perché questa è la migliore spiegazione che posso trovare per il tuo umore improvvisamente migliorato. In questi casi, "perché" introduce una ragione per la mia convinzione. Tali credenze sono "riflessive" nel senso che le intratteniamo insieme alle ragioni che abbiamo per accettarle. (2)
Intrattenere una ragione è un processo cognitivo come percepire, ricordare o capire l'umore di qualcuno. Per converso, il fatto che percezione, memoria e il rilevamento dell'umore siano processi cognitivi affidabili ci darebbero una ragione, se ne avessimo bisogno, per accettare le credenze che essi generano. Il contrasto che voglio disegnare tra "Credenze riflessive" e "convinzioni intuitive" non sono tra credenze ritenute a causa di una causa e credenze sostenute per una ragione, ma tra credenze sostenute con o senza mentalmente ragioni rappresentate.





(1)
Uso qui la parola inglese "guru", non la parola sanscrita da cui deriva.
(2)
Per la distinzione tra credenze intuitive e riflessive, si veda Sperber 1997.
...

[continua]


Bibliografia

Dennett, Daniel (1989). Murmurs in the cathedral (review of R. Penrose, The Emperor’s New Mind). The times literary supplement, September 29–October 5, pp. 55–57.

Mercier, H., and Sperber, D. 2009. Intuitive and reflective inferences. In Evans, J. St. B. T. and Frankish, K. (Ed.) In two minds: Dual processes and beyond. Oxford University Press.

Penrose, R. 1989. The emperor’s new mind: Concerning computers, minds, and the laws of physics.Oxford: Oxford University Press.

Sperber, D. 1996.Explaining culture: A naturalistic approach. Oxford: Blackwell.

Sperber, D. 1997. Intuitive and reflective beliefs.In Mind and Language12(1): 67–83.

Sperber, D. 2001. An evolutionary perspective on testimony and argumentation.Philosophical Topics29:401–413.

Sperber, D., and D. Wilson. 1995.Relevance: Communication and cognition, 2nd ed. Oxford: Blackwell.

Wason, P.C. 1960. On the failure to eliminate hypotheses in a conceptual task. Quarterly Journal of Experimental Psychology 12: 129–140



 
Testo originale.

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