Digressione ultra-personale, 2: test prenatali e vaccini
In un paese ad alta medicalizzazione della gestazione, com’è l’Italia, per i futuri genitori viene un momento in cui bisogna fare i conti con la statistica. Ho ripensato alla rilevanza di questo frangente soltanto nei mesi della campagna di vaccinazioni anti-covid, e credo che il ragionamento possa essere istruttivo in generale, riguardo al modo in cui la statistica può entrare nelle nostre vite.
Talvolta, a proposito di questo o quel rischio (incidenti, malattie, ecc.), si sente dire “la probabilità è molto bassa”: è un’affermazione ben poco significativa perché la probabilità si misura con precisione da quando ne abbiamo catturato la natura numerica, ossia dalla metà del XVII secolo. Ma la matematica probabilistica è sconosciuta ai più, per non dire a quasi tutti coloro che non l’abbiano studiata. Sentirsi dire che la probabilità di morire facendo il tal vaccino è dello 0,0013% non è un dato significativo per una mente ignara di numeri (mi pare che la pandemia di covid abbia mostrato che la società contemporanea è in buona parte affetta da quella che chiamerei “discalculia culturale”).
I numeri sembrano acquistare un po’ più di significato, per noi non-matematici (cui era giustamente proibito l’accesso nell’Accademia platonica) se vengono comparati l’uno con l’altro. Per esempio, per un cinquantenne sano avrebbe senso paragonare la probabilità (condizionale) di ammalarsi gravemente e morire di covid con la probabilità di morire per gli effetti di un vaccino ancora non troppo testato.
Nel caso dei test prenatali la situazione è abbastanza chiara, o almeno lo fu per me: sommando i risultati di tutti i test prenatali prima dell'amniocentesi, la probabilità statistica (quindi appartenente a una realtà puramente virtuale) che mio figlio nascesse con una malformazione era di 1/10000. Tanto? Poco? Se non ci fossero stati confronti da fare, avrei certamente preso in considerazione il fatto che non si trattava di una probabilità nulla: su 10000 mondi possibili, in uno di questi sarei diventato padre di un bambino con qualche malformazione, con conseguenze che non sarei mai stato in grado di prevedere a priori.
Ma c’era un altro dato da prendere in considerazione: l’amniocentesi dà un responso molto affidabile sulla presenza di eventuali malformazioni ma porta con sè un rischio di aborto per mancata richiusura della placenta. Qual era la probabilità di un aborto post-test? All’epoca si diceva 1/200, ma la ginecologa ci disse che nuovi studi la ricalcolavano anche a 1/100. Su 100 amniocentesi effettuate, in un caso si aveva un aborto (non so che cosa dicano i dati di oggi).
Prima ancora di considerare il contesto esistenziale e decisionale, consideriamo i numeri: da una parte 1/100, dall’altra 1/10000. Sembrerebbe non dovervi essere dubbio, se si considera che la differenza numerica è di due ordini decimali di grandezza: il rischio di aborto era cento volte più grande del rischio di malformazione. Certo, le conseguenze sarebbero state radicalmente diverse e incomparabili: da una parte una possibile vita mai nata, nella fattispecie quella di nostro figlio, dall’altra parte la nascita di un figlio con qualche problema imprevedibile a priori ma potenzialmente anche molto grave, e comunque tale da condizionare la sua vita e ovviamente la nostra di genitori.
Per comparare due mondi possibili tanto diversi non esistono regole, direi: ognuno valuterà quale rischio preferire, date le conseguenze probabili, anche se di una probabilità apparentemente piccola.
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