Pubblicato su Vogue.it
Con la sua frase paradossale, Arthur Rimbaud non pensava certo a quello speciale alter-ego che, dopo Plauto, chiamiamo sosia. Eppure, nella società delle immagini, i sosia manifestano la non-coincidenza dell’io con se stesso.
Il sosia è un io vuoto, privo dell’essenza che costituisce l’individuo di cui il sosia è icona parassitaria. Ma in un mondo come il nostro in cui l’essenza non conta nulla e l’apparenza fenomenica è tutto, la falsità dell’imitatore rispetto alla verità dell’imitato assume forse un significato inedito.
Manifestando l’indefinita riproducibilità dell’immagine corporea e rendendola autonoma dal suo legittimo proprietario, il sosia ci ricorda che nessun individuo è realmente unico.
L’odierna società totalitaria dello Spettacolo ha creato le condizioni per l’esistenza di grottesche moltitudini di sosia. La schiera gerarchica aspira a imitare il gerarca: le truppe militari somigliano al Capo come i fan tendono a somigliare alla propria celebrity, rockstar o uomo politico. La moda dei sosia delle celebrità rende manifesta la virtuale scambiabilità delle persone mercificate nella loro immagine. L’individuo non ha più sostanza. Ego = Alter.
Perciò il sosia più inquietante è quello della persona amata (si vedano Solaris di Tarkovsky e The last Tycoon di Kazan). Il sosia della persona amata, mettendone in scena l’impossibile ritorno, mostra che l’amore è sempre stato impossibile.
Percepisco facilmente l’infinito strazio dei fan di Michael Jackson al vederne i poveri sosia.
2 commenti:
ma non citi la Sabine Delafon Corporation?!
www.sabinedelafoncorporation.blogspotcom
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in così poche righe non c'era spazio, Sabine!
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