PUbblicato su Vogue.it
L’inquietudine insita nel rientro dalle vacanze è un indice emotivo dell’alienazione della nostra esistenza lavorativa?
Secondo il situazionista Guy Debord, il tempo in cui noi occidentali capitalisti viviamo è irrimediabilmente mercificato: in esso la dimensione qualitativa della vita è stata soppressa dall’alienazione del lavoro. Questo tempo è pseudo-ciclico perché “il vissuto quotidiano … ritrova del tutto naturalmente il vecchio ritmo ciclico che rego¬lava la sopravvivenza delle società pre-industriali.” Per Debord “il tempo pseudo-ciclico poggia sulle tracce naturali del tempo ci¬clico, e contemporaneamente ne compone nuove combina¬zioni omologhe: il giorno e la notte, il lavoro e il riposo settimanale, il ritorno dei periodi di vacanze.” (La società dello spettacolo)
Se il nostro lavoro è alienato, tuttavia le vacanze interrompono l’anormale (alienata) vita lavorativa in un modo oggi percepito come normale, al punto da sembrare del tutto irrinunciabile. Senza un’interruzione anche piccola, ma tale da costituire un segmento temporale definito e memorabile, che senso avrebbe sopportare l’opprimente linearità del lavoro annuale? La continuità del lavoro sovrapposta alla ciclicità stagionale sembrerebbe una condanna simile all’eterno ritorno di Nietzsche.
Le vacanze non sono certo una caratteristica naturale dell’essere umano (si pensi a un crudo resoconto dell’ininterrotto lavoro contadino come La Malora, di Fenoglio) ma un’invenzione capitalista (altra cosa l’otium dell’antichità o la villeggiatura della nobiltà ancien régime).
Così, se tornare al nostro lavoro non ci entusiasma, possiamo almeno pensare che al di fuori del capitalismo la natura non fa vacanze.
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