L’australiano Julian Paul Assange, programmatore e hacker, giornalista e blogger, studente di fisica, matematica, filosofia e neuroscienze, infine fondatore di Wikileaks, è stato arrestato l’altro ieri a Londra sulla base di un mandato di cattura internazionale emesso dalla Svezia con l’accusa di una duplice “violenza sessuale” (in realtà secondo un’accezione molto idiomatica del reato).
La vicenda è quanto meno intricata: le accuse sembrano bizzarre (si dice anche che una delle due accusatrici sia una collaboratrice della CIA) e la cosa certamente più rilevante di tutte è che gli USA vorrebbero estradarlo. Mentre si aspetta di sapere se gli USA otterrano la rendition di Assange, col rischio che l’attivista dell’informazione sia incriminato per spionaggio e punito molto duramente per il rilascio al pubblico di informazioni segrete, insorgono in tutto il mondo gli intellettuali impegnati come Noam Chomsky e Ken Loach, chiedendo la liberazione di Assange e la difesa da parte degli stati democratici della libertà di informazione.
È vero che, come ci ha fatto sapere Piergiorgio Odifreddi dal suo blog, già nel 2007 Assange si pronunciava in maniera molto ispirata in favore della trasparenza assoluta dell’informazione: “Siano benedetti i profeti della Verità, i suoi martiri, i Voltaire e i Galileo, i Gutenberg e gli Internet, i serial killer delle illusioni, quei brutali e ossessivi minatori della realtà, che distruggono ogni marcio edificio fino a ridurlo a rovine su cui seminare il seme del nuovo». Ma ciò che più colpisce dell’operato di Assange è questo: mettersi contro un potere forte sembra un’ impresa rischiosa (vengono in mente I Tre giorni del Condor di Sidney Pollack), ma mettersi contro più governi statali contemporaneamente sembra un vero suicidio.
Ma perché il caso WikiLeaks/Assange ha assunto le fattezze di uno tsunami per il mondo occidentale dell’informazione politica? Sapere è potere, diceva il filosofo Francis Bacon a proposito della tecnica: si potrebbe anche affermare che potere è sapere, e - soprattutto - non far sapere. Ancor più della sua intrinseca violenza (di cui secondo il sociologo Max Weber lo Stato ha il legittimo appannaggio) lo scandalo del potere è la sua segretezza. Fino a oggi, almeno. Perché WikiLeaks sembra avere dischiuso la possibilità che si sappia tutto ciò che normalmente rimane dietro le quinte, a fondamento di pratiche di potere pubblico e privato non sempre raccomandabili e talvolta gravissime.
WikiLeaks mette le sue informazioni, di cui viene in possesso per vie che rimangono anonime, a disposizione di chiunque sia dotato di un computer e di una connessione internet. Si tratta ovviamente di informazioni da interpretare, contestualizzare, analizzare e comprendere e che mobilitano quindi la mediazione giornalistica più tradizionale (pochi hanno letto direttamente i documenti in questione): ma l’elemento centrale è la possibilità che tutti sappiano tutto dell’operato di chi detiene il potere. Chi critica WikiLeaks lo fa per difendere il potere, nel bene e nel male, con l’idea che ''gli Stati verrebbero indeboliti e le istituzioni, la vera essenza della democrazia, sarebbero in pericolo'' come ha affermato ieri il premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa.
Ma perché mai le istituzioni democratiche dovrebbero necessariamente fondarsi sul segreto? Per quanto democratici, gli stati nazionali sembrano giustificare in ultima istanza il loro operato con la massima “il fine giustifica i mezzi”. Gandhi ha rovesciato Machiavelli affermando che un fine buono può essere raggiunto soltanto con mezzi buoni. Qual è la posizione più giusta e razionale?
Direttamente o indirettamente, il potere sacrifica risorse e vite per (presuntivamente) salvarne altre, e questo accade spesso nel più perfetto segreto. Siamo proprio sicuri che se i cittadini di uno stato venissero consultati sulla necessità di compiere azioni questi darebbero sempre il loro assenso? E siamo davvero convinti che senza violenza e segretezza la vita associata delle persone sarebbe impossibile?
Ignoriamo le risposte, ma Julian Assange e WikiLeaks ci hanno ricordato che queste domande sono ancora possibili. E questo ha molto a che fare con la libertà.
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