E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

lunedì 10 gennaio 2011

Tron Legacy. Oltre lo specchio digitale (Vogue16)

[pubblicato su Vogue.it]
Quante sono le opere di fiction che ci hanno raccontato che cosa c’è dall’altra parte della realtà? A partire dalla discesa agli inferi di Odisseo, Eracle e Orfeo, le catàbasi (questo il nome greco) non si contano facilmente: dalla Divina Commedia al Viaggio al centro della Terra, da Alice nel Paese delle meraviglie al Viaggio Allucinante, da Total Recall a Matrix. Ma non tutte le rappresentazioni del Mondo Parallelo riescono col buco, perché se il meccanismo finzionale consiste nell’importare elementi e personaggi del mondo attuale nel mondo virtuale (reale anch’esso ma in modo diverso), bisogna pur che la comunicazione tra attuale e virtuale sia affidata a un espediente narrativo accettabile, o almeno comprensibile.
Nel 1982 Tron, un film bizzarro e sperimentale prodotto dalla Walt Disney, aveva sostanzialmente fallito nel compito – poi riuscito a Matrix – di coniugare l’immaginario del mondo parallelo con la rivoluzione informatica: a differenza di altre opere affini, infatti, Tron ipotizzava l’in-credibile, ossia che un essere umano (Kevin Flynn interpretato da Jeff Bridges) si ritrovasse miracolosamente dentro al computer, non in effigie elettronica o tramite un avatar, bensì miniaturizzato al suo interno.
A distanza di 28 anni dal primo film, Tron - Legacy riprende quell’ipotesi assurda, rendendola se possibile ancora meno credibile: il film non fa mai scattare la suspension of disbelief teorizzata da Coleridge: non si inizia mai a credere a quello che si vede, non ci si lascia mai andare al godimento dello spettacolo, perché quello che si vede non solo è assurdo ma nemmeno scaturisce da alcuna logica verosimigliante.
Nonostante questo difetto capitale, il film è a suo modo un prodotto perfetto. Le citazioni dai film di fantascienza si sprecano. Le più evidenti: nel mondo virtuale la natura sembra la Terra post-devastazione in Matrix; la casa di Flynn è la visione finale di 2001. Odissea nello Spazio; l’algida ragazza-programma dai capelli bianchi (Beau Garrett) richiama esplicitamente i personaggi di Arancia meccanica; il duello aereo ricorda Star Wars, richiamato anche da cappucci e spade laser alla moda Jedi, senza contare che l’incontro tra padre e figlio, anticamente separati, è uno dei fulcri della saga di Star Wars.
Il cast sembra improntato a due criteri semplici: assicurare una labile continuità col primo film, attraverso la presenza di Jeff Bridges e qui sdoppiato nell’alter-ego cattivo (è la cosa forse più interessante del film) ed esibire alcune giovani attrici di abbagliante bellezza come Olivia Wilde (Quorra) e Beau Garrett (Gem). Divertente l’ambiguo personaggio di Michael Sheen (Zuse), mentre Garrett Hedlund nei panni del giovane Flynn sembrerebbe poter essere interpretato da qualsiasi attore giovane e carino.
Le musiche dei Daft Punk promettono un po’ più di quanto non mantengano (si veda la condivisibile critica di Rolling Stone: http://www.rollingstone.com/music/albumreviews/tron-legacy-20101206).
Tutto questo, purtroppo, non è sufficiente a renderci felici, proprio nel momento in cui ci fa sognare una possibile perfezione mancata. La grande consolazione consiste nell’accorgersi, rivedendolo, che oggi il vecchio Tron sembra un’opera ben più originale e dirompente del suo sequel di successo. Del resto il messaggio di Tron 2010 è chiaro: la perfezione non è conoscibile, anche se è costantemente sotto i nostri occhi. In modo imperfetto, siamo comunque nei paraggi del sublime spettacolare.

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