E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

martedì 22 febbraio 2011

Complessità, complicatezza e semplicità in musica

1. Una tipologia musicologica di Fred Lerdahl alla luce della Relevance Theory

La Teoria Generativa della Musica Tonale (GTTM) è una delle più influenti teorie della cognizione musicale (Jackendoff e Lerdahl, 1983). In GTTM Lerdahl e Jackendoff non esprimono un punto di vista estetico, tuttavia, in una serie di articoli successivi[1], Lerdahl ha derivato da GTTM alcuni principi della composizione musicale. Anche se questi principi non sono un insieme di regole estetiche, essi sono presentati come “vincoli cognitivi” per una prassi compositiva rispettosa della natura della mente umana.
La buona musica, afferma Lerdahl, deve essere fondata sull’umana “facoltà musicale” (capacity for music, Jackendoff and Lerdahl 2006), ossia sulla natura della mente e della cognizione musicale[2]. Secondo Lerdahl, gran parte della musica del XX secolo ha adottato grammatiche composizionali lontane dalle “grammatiche d’ascolto” implicite nella mente umana. Ne sono risultate opere musicali artisticamente manchevoli: per esempio, le strutture della musica dodecafonica non hanno alcuna realtà percettiva, come numerosi test psicologici sembrano mostrare[3].
In un primo momento Lerdahl afferma: “nous ne portons aucun jugement esthétique [...]. La relation entre perceptibilité et valeur est oscure; personne n’a vraiment de théorie sur de telles questions” (1985, p.112). Tuttavia questa osservazione è successivamente attenuata: « Cependant, ces remarques comportent une sorte plus subtile de sous-entendu esthétique”. Questo sottinteso è la tipologia musicale proposta da Lerdahl e che discuteremo in questo articolo. Il punto di vista di Lerdahl potrebbe dirsi “meta-estetico”, nel semplice senso che i vincoli cognitivi dedotti da GTTM rappresentano il fondamento su cui i giudizi estetici possono essere formulati.
Lerdahl afferma: “Following them [the cognitive constraints] will not guarantee quality. I maintain only that following them will lead to cognitively transparent musical surfaces, and that this is in itself a positive value; and, conversely, that not following them will lead in varying degrees to cognitively opaque surfaces, and that this is in itself a negative value” (1988, p.118). In altre parole, ci sono molti possibili generi musicali con “cognitively transparent musical surfaces”, e questa trasparenza superficiale è soltanto il primo livello di un’opera musicale “ben formata”[4].
La tipologia musicale suggerita in Lerdahl (1985) e ripetuta successivamente (1988; 1997) è fondata sull’esistenza di una doppia struttura in ogni brano musicale. Come nel “modello standard” della linguistica chomskyana, Lerdhal distingue una “superficie musicale”, ossia tutti gli eventi sonori che la mente può percepire, e una “struttura profonda”, ossia le relazioni gerarchiche che la mente può reperire sotto la superficie musicale[5]. Se tale superficie “has numerous non-redundant events per unit time”[6] la musica può dirsi complicata. Se le strutture gerarchiche che la mente dell’ascoltatore deriva inconsciamente dalla superficie musicale sono complesse, la musica può dirsi complessa.[7] Il terzo e ultimo tipo musicale è citato solo en passant da Lerdahl (1988; 1997): si tratta della musica semplice, ossia la musica che ha una superficie semplice e una struttura profonda povera. La definizione è negativa: semplicità è l’assenza sia di complicatezza che di complessità (Lerdahl 1997, p. 425). Complicato/complesso/semplice sono trattati da Lerdahl come concetti di tipo “classificatorio” (“x è complicato/complesso/semplice oppure no”) [8]: sembrano escludere la possibilità di una quantificazione e ammettere solo implicitamente una comparazione.
Uno degli elementi maggiormente problematici in questa tipologia è la sua assiologia implicita: secondo Lerdahl la complessità è migliore della semplicità. Lerdahl attribuisce un valore esteticamente neutro alla complicatezza o meglio, alla musica con una superficie complicata, e un valore positivo alla complessità, ossia alla musica con una ricca struttura profonda. Ma la terza qualificazione, la semplicità, è giudicata implicitamente come negativa: “Balinese gamelan falls short with respect to its primitive pitch space. Rock music fails on grounds of insufficient complexity” (Lerdahl 1988, p. 119).


1.1 Estetica e cognizione.

Lerdahl sembra esitare tra la possibilità di fondare l’estetica su basi cognitive e l’ammissione che tale fondazione è priva di senso. In effetti, sebbene rifiuti la fondazione cognitiva dell’estetica, Lerdahl pensa che GTTM abbia conseguenze estetiche. Lerdahl (1988), per esempio, deriva da GTTM alcuni “vincoli cognitivi” per la composizione musicale. Se questi vincoli non sono direttamente estetici[9] essi tuttavia hanno almeno un contenuto meta-estetico, nel senso definito più su, poiché determinano precise restrizioni delle possibilità compositive, restrizioni derivate dalle regole individuate in GTTM e successivi ampliamenti. Secondo Lerdahl un buon musicista deve rispettare questi vincoli cognitive per comporre musica “naturale”, ossia una musica compatibile con la nostra “capacity of music” (Jackendoff e Lerdahl, 2006), in armonia con la mente musicale[10].


1.2 Semplicità difettosa?

Lerdahl dichiara idiosincratica e personale la propria preferenza estetica per la complessità e la sua neutralità nei confronti della complicatezza, tuttavia la condanna della semplicità sembra pretendere a uno statuto superiore a quello del mero giudizio di gusto: “Rock music fails on grounds of insufficient complexity”. La semplicità è “the absence of both complicatedness and complexity” e la complessità ha per Lerdahl un valore estetico positivo, ma le ragioni per condannare la semplicità non sono chiare: non potrebbe trattarsi di un valore neutro, come la complicatezza? In mancanza di buoni argomenti, sembra immotivato dichiarare fallimentare un idioma musicale a grande diffusione popolare come la musica rock o un idioma tradizionale come il gamelan balinese. Una teoria cognitiva della musica dovrebbe tentare di spiegare anche i generi musicali demotici ed esotici realmente esistenti, e non soltanto lo stile classico; dovrebbe inoltre spiegare come possano esistere generi musicali ritenuti cognitivamente fallimentari, e perché mai essi piacciano.


1.3 Mozart complesso, Glass semplice.

Non pare molto plausibile attribuire tout court – come fa Lerdahl[11] – la “complessità pura” (senza complicatezza) alla musica di Mozart o di Schubert, se questa attribuzione è diretta a un autore in toto anziché a specifiche composizioni: più di un minuetto di Mozart potrebbe essere considerato come un esempio della categoria lerdahliana di “musica semplice”. Il punto debole di questa classificazione consiste nel fatto che Lerdahl usa la tricotomia “complesso/complicato/semplice” come se si trattasse di concetti classificatori (Carnap, 1950): qualcosa è complesso/complicato/semplice, oppure no. Ma l’applicazione dei tre concetti sembrerebbe più plausibile, almeno in funzione estetica, se ammettessero dei gradi o meglio ancora una comparazione: qualcosa è più o meno complesso/complicato/semplice di qualcos’altro (nel lessico di Carnap: concetti comparativi).
Reinterpretata in tal modo la tricotomia diventa ancor più plausibile, tanto cognitivamente quanto esteticamente, se analizzata nel contesto della  Relevance Theory (Sperber e Wilson, 1986/1995). In accordo con la teoria, la rilevanza di un input è funzione dello “sforzo di trattamento” e dell’“effetto cognitivo”: ceteris paribus, quanto più grande è lo sforzo di trattamento, tanto meno rilevante è l’input, e quanto più grande è l’effetto cognitivo, tanto più rilevante è l’input (per qualcuno, in un certo contesto cognitivo).
Proponiamo dunque di adottare il concetto di Rilevanza così come definito dalla teoria di Sperber e Wilson per rendere plausibile l’applicazione della tricotomia lerdahliana, ricollocandola nel dominio cognitivo prima che in quello estetico. Anziché come variabili categoriali, complessità/complicatezza/semplicità possono essere considerate funzione della rilevanza (locale/globale) di un brano musicale. Per risultare cognitivamente (più) rilevante (di un altro), un brano musicale richiedente un certo sforzo di processamento deve offrire in cambio un proporzionato effetto cognitivo/emotivo[12] (maggiore di quello offerto da un altro brano richiedente analogo sforzo di processamento).
Assumendo che la superficie di un brano musicale corrisponda al livello maggiore dello sforzo di trattamento e la struttura profonda corrisponda all’effetto musicale sulla mente dell’ascoltatore, in accordo con l’analisi di Lerdahl diremo che la complicatezza senza complessità produrrà una rilevanza debole. Contrariamente al punto di vista di Lerdahl, però sosterremo anche che una musica semplice, che richieda un piccolo sforzo di trattamento, può essere rilevante se offre un buon effetto cognitivo/emotivo, per lo meno non inferiore allo sforzo di processamento. Questa impostazione apre la via alla riabilitazione della musica demotica, ossia la musica strutturalmente semplice ma piacevole, come alcuni esempi di musica rock, e come il gamelan balinese alle orecchie balinesi.
Da un punto di vista computazionale, rimane aperto il compito della formulazione di un algoritmo di calcolo della Rilevanza Musicale, fondato sulla formalizzazione del concetto di Rilevanza.



Bibliografia

1.      Carnap, R. (1950). Logical foundations of probability. Routledge and Kegan Paul, London.
2.      Davies, S. (2008). Musical Understandings, in Musikalischer Sinn: Beiträger zu einer Philosophie der Musik, A. Becker & M. Vogel (eds.), Matthias Vogel (trans.), Francoforte, Suhrkamp Verlag.
3.      Jackendoff, R., Lerdahl, F. (2006). The Capacity for Music: What’s Special about it?, Cognition 100, 33-72.
4.      Lerdahl, F. (1985). Théorie genérative de la musique et composition musicale. In T. Machover, ed., Le Concept de Recherche Musicale. Parigi, Christian Bourgois.
5.      Lerdahl, F. (1988). Cognitive Constraints on Compositional Systems. In J. Sloboda, ed., Generative Processes in Music. Oxford, Oxford University Press.
6.      Lerdahl, F. (1997). Composing and Listening: A Reply to Nattiez. In I. Deliége & J. Sloboda, eds., Perception and Cognition of Music. Hove, Psychology Press
7.      Lerdahl, F., Jackendoff, R. (1983). A generative theory of tonal music. Cambridge, MIT Press.
8.      Raffmann D. (2003). Is  Twelve-Tone Music Artistically Defective?, Midwest Studies in Philosophy 27 (1): 69–87.
9.      Sperber D., Wilson, D. (1995). Relevance: communication and cognition. Blackwell, Oxford


[1] Lerdahl (1985), Lerdahl (1988), Lerdahl (1997).
[2] Lerdahl (1988, p.119): “My second aesthetic claim in effect rejects this attitude in favour of the older view that music-making should be based on “nature”. For the ancients, nature may have resided in the music of the spheres, but for us it lies in the musical mind”.
[3] Diana Raffmann (2003).
[4]  “All sorts of music satisfy these criteria - for example, Indian raga, Japanese koto, jazz, and most Western art music” Lerdahl (1988, p.119).
[5] A questo proposito, si è molto discusso se la comprensione musicale necessiti davvero della comprensione “strutturale” o se invece questa non sia appannaggio di forme d’ascolto “esperto”. Per un riassunto del dibattito si veda Davies 2008.
[6] Lerdahl (1988, p.118).
[7] Ibidem.
[8] Carnap (1950).
[9] “Il faut souligner que nous ne portons aucun jugement esthétique dans ces cas” Lerdahl (1985:112).
[10] Lerdahl (1988, p. 119-20) esplicita bene questo punto: “The avant-gardists from Wagner to Boulez thought of music in terms of a “progressivist” philosophy of history: a new work achieved value by its supposed role en route to a better (or at least more sophisticated) future. My second aesthetic claim in effect rejects this attitude in favour of the older view that music-making should be based on “nature”. For the ancients, nature may have resided in the music of the spheres, but for us it lies in the musical mind”.
[11] Lerdahl (1997, p.425): “Mozart and Schubert are complex but not complicated. Bach, Brahms, and much of Wagner are both complex and complicated. Donizetti is simple. In the 20th century, Debussy, Stravinsky, and early Webern are complex but not complicated. Schoenberg is both complex and complicated. Carter, Babbit, Xenakis, early Stockhausen, and the Boulez of Le Marteau sans Maître are complicated but not complex; the same holds for the composers of the “new complexity” such as Ferneyhough. Glass and Pärt are simple”.
[12] Sperber e Wilson considerano omogenee la sfera cognitiva e quella emotiva.

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