“Il rizoma (da rizo-, radice, con il suffisso -oma, rigonfiamento) è una modificazione del fusto con principale funzione di riserva. È ingrossato, sotterraneo con decorso generalmente orizzontale” (da Wikipedia). Tuttavia nel repertorio concettuale di Deleuze & Guattari il rizoma indica tutt’altro che radicamento, verticalità e gerarchia (si pensi alla metaforica heideggeriana legata al Grund): il rizoma cresce infatti orizzontalmente e ha struttura diffusiva, reticolare, anziché arborescente.
Il rizoma è un anti-albero, un’anti-radice, un’anti-struttura.
L’orizzontalità rizomatica è giocata simbolicamente contro l’immagine filosofica di una conoscenza “verticale” (l’albero della conoscenza, dalla Bibbia a Descartes a Varela e Maturana), e alla quale Deleuze & Guattari attribuiscono intrinseca valenza (bio)politica, ovviamente repressiva: “è curioso come l’albero abbia dominato la realtà occidentale e tutto il pensiero occidentale, dalla botanica alla biologia, l’anatomia, ma anche la gnoseologia, la teologia, l’ontologia, tutta la filosofia…: il fondamento-radice, Grund, roots e fundations” (Mille Plateaux, 27)[ii].
Il rizoma è il movimento stesso del desiderio, dall’Anti-Edipo in poi protagonista assoluto della metafisica deleuze-guattariana: “Quando un rizoma è tappato, arborificato, è finita, non passa più nulla del desiderio; perché è sempre per rizoma che il desiderio si muove e produce” (Mille Plateaux, 22).
Principi di rizomaticità.
Pur annunciandoli come “caratteri approssimativi” del rizoma, Deleuze & Guattari formulano alcuni principi che definiscono il rizoma.
Connessione ed eterogeneità (1 e 2): “qualsiasi punto di un rizoma può essere connesso con qualsiasi altro punto, e deve esserlo”. Qui la linguistica generativa di Noam Chomsky viene esplicitamente tirata in ballo come esempio negativo, perché la struttura sintattica sottesa a una frase linguistica inizia da un vertice (detto “testa”) e procede per dicotomia.
Molteplicità (3): “le molteplicità sono rizomatiche e denunciano le psuedo-molteplicità arborescenti”. La nozione di molteplicità –già sviluppata nei testi del solo Deleuze – è un altro punto singolare del “sistema” di pensiero (rizomatico) di Deleuze e Guattari. Le molteplicità si oppongono all’unità e anche all’Uno dell’onto-teologia occidentale. Tuttavia per avere delle molteplicità non è sufficiente aggiungere delle dimensioni: occorre invece sottrarre l’uno che darebbe unità al molteplice. Un buon esempio di produzione di molteplice è dato dal pianismo iper-vuituosistico di Glenn Gould: l’accelerazione che egli impone alla musica fa proliferare l’insieme, trasforma i punti musicali in linee. E in un rizoma non ci sono punti o posizioni come “in una struttura, un albero, una radice. Non ci sono nient’altro che linee”.
Rottura asignificante (4): a differenza delle strutture, che si scompongono in segmenti dotati a loro volta di informazione strutturale, un rizoma “può essere rotto, spezzato in un punto qualsiasi, riprende a seguire l’una o l’altra delle sue linee e seguendo altre linee”. Qui l’esempio, o meglio l’ipotiposi, del rizoma è il formicaio e il suo apparentemente inarrestabile proliferare, per quante distruzioni parziali possa subire. Ogni rizoma subisce una segmentarizzazione e stratificazione che attribuiscono significato, ma ogni volta che questa “normalizzazione” viene interrotta da una “linea di fuga” (altro concetto maggiore di Deleuze & Guattari) le linee segmentali esplodono e il rizoma si rompe.
Cartografia e decalcomania (5 e 6): il rizoma è eterogeneo ai modelli strutturali e generativi che hanno sempre l’albero come modello di infinita riproducibilità: “la logica dell’albero è una logica del calco e della riproduzione”. Il rizoma è invece una carta, e la carta non riproduce ma crea, in connessione con ciò di cui è carta. È questo è il principio più sensibile per la destituzione di ogni dualismo, in quanto non si tratta di rovesciare il modello della carta a favore di quello del calco, ma di “tentare l’altra operazione, inversa ma non simmetrica”. Con tutto il principio di carità, qui purtroppo non sembra possibile una comprensione chiara di ciò che gli autori intendono. Grosso modo si intuisce che si vorrebbe poter opporre la carta al calco, in un universo logico non dualistico, ma rimane difficile l’intuizione di come sia possibile opporre un’istanza m a un’istanza M scardinando la logica binaria dell’opposizione tra M e m. (Deleuze tratta abbondantemente questo punto a proposito dell’immanenza spinoziana, con sostanza unica, duplicità di attribuiti e molteplicità di modi/emanazioni).
Antidualismo. Come tutti i concetti filosofici militanti di Deleuze & Guattari, e in uno spirito non lontano dalla coeva decostruzione derridiana[iii], il concetto di rizoma non ha il fine di rovesciare una gerarchia istituita per affermare la primazia di ciò che normalmente è considerato secondario (allo stesso modo, la decostruzione pone il secondario in primo piano per destituire ciò che è istituzionalmente primario, non per affermarne la primazia)[iv]. “Ci sono nodi arborescenti nei rizomi e crescite rizomatiche nelle radici” (Mille Plateaux, 30).
L’albero-radice e il rizoma NON si oppongono come due modelli, ma piuttosto il rizoma costituisce la possibilità (trascendentale) di tutte le vie di fuga possibili in una struttura arboriforme. L’obiettivo ultimo, dicono Deleuze & Guattari, è quello di attingere l’impossibile formula: PLURALISMO = MONISMO.
Se l’albero impone il verbo essere, ossia la metafisica (od ontologia) alla base delle categorie di pensiero occidentale, dai presocratici agli analitici, il rizoma ha per tessuto connettivo la congiunzione molteplice: “e… e… e…”.
Rizoma e cervello. L’interesse di Deleuze & Guattari per il cervello testimonia della persistenza di un desiderio di materialismo, contro ogni psicoanalisi e psicologia, umanista o strutturalista (e probabilmente anche contro le scienze cognitive, se i due autori avessero avuto l’occasione di recepirle). Il cervello è un rizoma, nonostante la presenza di strutture come i dendriti, che lascerebbero pensare ad una natura alberiforme. “Molte persone hanno un albero piantato nella testa, ma il cervello stesso è più un erba che un albero”. L’immagine dell’erba è a sua volta ipotipotica, perché, ci fanno sapere Deleuze & Guattari, il filo d’erba non cresce dagli estremi ma nel mezzo. E il rizoma “non ha un principio né una fine, è sempre in mezzo, tra le cose, inter-essere, intermezzo” (Mille Plateaux, 36).
Non è una metafora. Un’ultima osservazione: nello spirito nietzscheano della filosofia di Capitalismo e schizofrenia, la metafora è assolutamente bandita, a vantaggio della natura macchinica (materialista) della realtà: “in nessun caso ci serviamo di metafore” (Deleuze e Parnet, p.25). Pertanto a rigore il concetto di rizoma non deve essere considerato una metafora. Contro le metafore, Deleuze & Guattari giocano fin dall’Anti-Edipo i concetti di “macchina desiderante”, “macchina di macchine”, e successivamente quello di “dispositivo” e di “macchina astratta”.
La pretesa di Deleuze & Guattari è assoluta: rivoluzionare il pensiero ed il linguaggio con una postura di innocenza e ingenuità.
Forse è vero, come disse un giovane studente criticando l’Anti-Edipo, che non basta vedere scritto in un libro “sii felice” per esserlo (e c’è pure il problema del double bind…): ma se il concetto di rizoma vi piace, lasciatevene trasportare a costo di spezzare qualche dura linea segmentale che compone la vostra apparente identità. Potreste scoprire più d’una linea di fuga.
E qualcosa di simile alla gioia.
Bibliografia minima
G. Deleuze, Logica del senso (1967), tr. it. Raffaello Cortina, 2005
G. Deleuze, Spinoza e il problema dell’espressione (1968), tr. it. Quodlibet, 1999.
G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni (1996), tr. it. Ombrecorte, postfazione di Antonio Negri, 2005.
G. Deleuze, F. Guattari, L'anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia (1972), tr. it. Einaudi, 1975-2002.
G. Deleuze, F. Guattari, Millepiani (1980), tr. it. Castelvecchi, 2003.
G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia? (1995), tr. it. Einaudi, 2002.
[i] Data la complessità e la circolarità dei temi trattati in Millepiani, si rimanda alla scheda apposita per un’ulteriore proliferazione di senso e sottrazione di apparente unitarietà.
[ii] Nonostante l’iperbole tipicamente postmodernista, di D&G, si tenga presente, leggendo queste righe, che a tutt’oggi la maggior parte dei linguisti generativisti ritiene che l’albero binario sia struttura cognitiva universale, e che qualsiasi materiale cognitivo senza eccezioni possa ricondursi a tale struttura).
[iii] Seppure in uno stile apparentemente opposto, al punto che per l’impossibile coppia Derrida/Deleuze si potrebbe rievocare il concetto kantiano-deleuziano di “sintesi disgiuntiva”. I due filosofi si conoscevano benissimo e si stimavano, a giudicare dal necrologio per Deleuze di Derrida su Libération (nel quale si cita lo sbalorditivo progetto di scrivere insieme un libro su Marx). Tuttavia conosco solo due casi di citazione reciproca, uno a testa: in Platone e il simulacro, poi incluso in Logica del senso, Deleuze cita la prima edizione de La farmacia di Platone di Derrida (Tel Quel, n° 32 e n° 33); a sua volta, nella famigerata conferenza su La differenza (ora in La scrittura e la differenza) Derrida cita il deleuziano Nietzsche e la filosofia. In qualche modo, dopo di allora i due giganti del pensiero francese preferirono ignorarsi, almeno testualmente.
[iv] A rigore in Capitalismo e schizofrenia questo punto non è chiaro: tutte le istanze minoritarie, in effetti sono sempre dichiarate più intense delle istanze maggioritarie.
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