La folla dei corridori intorno a te non ha più sostanza di quella temporaneamente aggregata per un istante cosmico, presto non avrà più quella forma. E la sua forma è infinitesimale se paragonata all'infinità di forme attuali e virtuali; perciò è tendenzialmente vuota.
Perciò puoi vederne l'essenza di puro fenomeno, la bidimensionalità d'immagine filtrata dai tuoi occhiali da miope astigmatico, o addirittura la tridimensionalità corporea e fugace.
Mentre il tuo corpo corre, fatichi, ma talvolta puoi raccogliere quel po' di forza mentale necessario per riaccentrare la tua percezione: come sempre, il tuo campo visivo si allarga, o meglio si distende e approfondisce, vedi come a loro volta distesi e svuotati l'orizzonte, la prospettiva e i fenomeni in movimento intorno al punto focale.
Fare presenza mentale durante una gara di corsa di 10 km non è la cosa più semplice, sembra anzi un esercizio contro natura, eppure in parte riesce. In quegli istanti sembra che aiuti a sopportare lo sforzo. Le tue gambe corrono ma l'automatismo che le spinge è meno cieco del solito, non provi più la tentazione di accartocciarti a terra e gemere, nessuno ti obbliga, nessuno vuole nulla, sei lì e basta. E corri insieme ad altre migliaia di persone.
Certo dura poco, e verso la fine acceleri quanto più puoi, e ansimi come una bestia, perché vuoi vincere, vuoi superare di nuovo quelli e - soprattutto - quelle che ti hanno superato da poco senza fatica. Alla fine non stai più facendo presenza mentale, sei tornato nell'agone della corsa, aderisci alla tua volontà di vittoria nel più semplice dei modi.
Ma anche così, ricordi gli istanti di pace che hai attraversato poco prima.
Ora conosci la vera essenza della corsa, sai che tutto quell'affannarsi non è altro che una delle infinite superfici possibili del vuoto. E ti piace molto.
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