Quando invii un articolo a un convegno, finché non l'hai inviato sei libero di scrivere come meglio credi.
In quella situazione non provo ansia o tensione spiacevole perché mi piace solcare lo spazio delle possibilità, anche se la posta in gioco è essere accettati o rifiutati al convegno.
In quella situazione non provo ansia o tensione spiacevole perché mi piace solcare lo spazio delle possibilità, anche se la posta in gioco è essere accettati o rifiutati al convegno.
Quando invece il mio testo è già stato accettato e devo solo fare alcune revisioni per migliorarlo, ecco che mi prende l'ansia: non rischio più nulla, e la posta in gioco è già stata vinta, così fare il miglior lavoro possibile è una questione di deontologia, e di amor proprio.
A quel punto però subisco una strana paralisi: temporeggio, rallento la mia rilettura, mi distraggo, faccio altre cose, guardo i call for papers di convegni futuri, e man mano che il tempo passa mi cresce l'ansia.
Il mio modulo mentale della pianificazione dev'essere malamente programmato, e forse ho un cattivo rapporto emotivo con le situazioni reali a cui più tengo.
2 commenti:
Quello che succede a me: mando il call for papers (o appel à communication, à la français) e aspetto. Una volta che hanno accettato, è la paralisi. Dovrei dimostrare che hanno avuto ragione, a scegliere me e il mio Pasolini, e invece è come se la battaglia fosse già stata vinta. Dimostrazione pratica: il 20 parto per il Canada, e l'articolo famigerato è ancora in un file word di appena 1 riga..il titolo.
Vedi, se non ti avessi avuta soltanto in terza in questo caso potremmo quasi azzardare un "tale il vecchio prof tale l'allieva"...
A che convegno vai? Mi mandi l'articolo famigerato quando avrà superato la lunghezza del titolo? In realtà io l'articolo ce l'ho, devo solo correggerlo ed espanderlo un po'. Ma mai correzione ed espansione fu più lenta e penosa.
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