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sabato 27 febbraio 2016

Più realisti di Fusaro (appunti sul nuovo realismo e il giovinetto idealista)

In questo testo analizzeremo e criticheremo la posizione antirealista di Diego Fusaro, come si può evincere da Il futuro è nostro.

La polemica intorno al cosiddetto nuovo realismo ha coinvolto diversi filosofi italiani. Tra questi, Diego Fusaro non ha dedicato interventi specifici alla questione ma il capitolo 3 del suo recente Il futuro è nostro: "Dialettica storica e critica dei falsi realismi".

Fusaro non critica il new realism sulla base di un argomentazione articolabile in premesse e conclusioni, bensì invocando l'opinione di vari filosofi a sostegno della sua critica: 1) Gentile, 2) Heidegger, 3) la dialettica (hegeliana).
In consonanza con 1) Fusaro afferma che "la realtà esiste sempre mediata dal pensiero e, dunque, come pensato di un pensante, rendendo perciò stesso ingenuo ogni realismo assoluto (il cui pensiero della realtà assoluta è sempre l'oblio del pensiero che la pensa e che la pone come oggetto di un soggetto)".
In accordo con 2) "i fatti, le cose e la realtà si danno sempre nel quadro di una metafisica come interpretazione dell'ente considerato nella sua totalità".
3) suffraga l'antirealismo di Fusaro sulla base di mere citazioni: "coloro che affermano quella verità..."
A parte le autorità di puntello al punto di vista fusariano, non si trovano argomentazioni degne di questo nome. L'idea più volte ripetuta attraverso le variazioni stilistiche, che impreziosiscono il linguaggio formulare di questo giovane e vulcanico autore, è che il realismo sia una resa totale al capitalismo, una resa più o meno cosciente e più o meno di malafede.
Ma perché mai la realtà dovrebbe essere identificata col capitalismo tutto? Questo punto si potrebbe argomentare sulla base di 1); pertanto ci volgeremo innanzitutto a una critica del neogentilianesimo di Fusaro.

"Tutto ciò che esiste ... si dà come risultato di un porre e, in quanto tale, può essere trasformato" (p.256, c.n). Bene, ecco una tesi poco chiara che ci si aspetterebbe di veder chiarita successivamente (si abbandoni ogni speranza). Dato che F fa fede di antirealismo verrebbe innanzitutto da chiedere come possa egli parlare di "ciò che esiste", seppure "come risultato di un porre" perché sembrerebbe implicare una qualche forma di realismo necessaria ad acettare che qualcosa esista effettivamente (in quanto posto). Ma soprattutto non si capisce come si possa affermare che enti naturali come le montagne, le nuvole e le carie esistanto come "posti". Da chi? Da che? Se F vuole sostenere una dipendenza dei concetti  (di montagna, di nuvola, ecc.) dalla mente umana dovrebbe per lo meno dirlo in modo diverso.
E' probabile che Fusaro accoglierebbe la posizione di Rorty, secondo cui gli enti non dipendono causalmente dall'uomo ma ne dipendono rappresentazionalmente, ossia dai suoi schemi concettuali. Rimando qui all'analisi di Marconi (2012) che evidenzia l'ambiguità della nozione rortiana di dipendenza rappresentazionale.
Un hegeliano, naturalmente, sa la differenza tra natura e mondo umano, ed è alquanto probabile che quando F parla di esistenza tout court stia parlando in realtà di esistenza sociale, in senso lato, ossia come spirito oggettivo (Hegel) o essere sociale (Ferraris). Un idealismo di questo genere, posto che si tratti ancora di vero idealismo (in Ferraris, per esempio, coincide con una forma di "testualismo debole"), sembrerebbe più facilmente accettabile: in natura non esistono matrimoni, scuole, presidenti e denaro, ma è l'intenzionalità umana (o per Ferraris, in modo problematico, la "documentalità" ossia l'essere inscritto in tracce) che pone tali oggetti, che risulteranno di conseguenza parzialmente "soggettivi". Per riprendere la vecchia distinzione tra qualità primarie e secondarie, oggettive e soggettive, potremmo dire che esistono oggetti oggettivi, o primari, e oggetti soggettivi, o secondari.

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Nonostante il suo idealismo neogentiliano, Fusaro si vuole filosofo marxista (e gramsciano), e pertanto la prima accusa mossa contro il (nuovo) realismo è la sua mancanza di storicità: "Il realismo aprospettico [...] predica il ritorno all'esistente pensato non storicamente". Lasciando da parte Gentile e l'atto puro si potrebbe tentare di concordare con Fusaro sul fatto che la filosofia contemporanea analitica e cognitiva non abbiano nel loro DNA lo storicismo. Questo non significa che esse non sappiano nulla della storia in generale e della storia della filosofia in particolare (si veda per esempio l'ottima storia della filosofia di un filosofo analitico come Kenny). Il problema non è la conoscenza storica (a meno che Fusaro non pensi che tutti gli analitici e i cognitivisti siano semplicemente degli ignoranti) ma lo storicismo. Per un marxista (specie per uno che si ritenga uno dei pochi veri marxisti) storicismo vuol dire dialettica o meglio: dato che la realtà è dialettica, come ci ha insegnato Engels ancor più che Marx (il quale non sembrava voler estendere la dialettica anche alla natura), la conoscenza filosofica (ossia la vera conoscenza e la vera scienza) non può che fondarsi sui modi conoscitivi della dialettica. Come argomenta Fusaro in favore della dialettica?

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Abbiamo dunque assodato che l'obiettivo filosofico di F è ristabilire il primato dell'azione. Ora, siamo sicuri di sapere che cosa sia un'azione? Parafrasando il filosofo nazista prediletto dal nostro neoidealista, potremmo dire che noi non sappiamo che cosa significhi agire, almeno non prima di averne fatto un'analisi filosofica soddisfacente. Va notato infatti che, come per tutti (mi pare) i concetti fondamentali usati da F come armi epocali per la rivincita dell'idealismo, nessuna definizione o analisi rigorosa viene mai proposta. F potrebbe rispondere che una simile richiesta fa già parte del servilismo analitico e antidialettico. Ma una sintesi dialettica priva di un momento tetico-analitico iniziale non è una vera sintesi ma soltanto una ripetizione e un'intuizione priva di concetto, ossia, "con la grammatica di Kant", un'intuizione cieca.

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In favore della filosofia intesa come sapere storico F adduce il desiderio di vedere recuperato il "senso del possibile". Ma se anche fosse vero che tale senso, qualunque cosa sia, è stato dimenticato, un fine desiderabile non può essere contrabbandato per una buona ragione. Si potrebbe obiettare che, per quanto desiderabile, non ci sono garanzie che lo storicismo fornisca un'effettiva conoscenza. Non è impossibile ma bisognerebbe dimostrare perché lo storicismo potrebbe costituire una modalità conoscitiva superiore ad altre.


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Un problema ricorrente del libro (e forse dell'autore) è la volontà di anteporre l'enunciazione di scopi (ideologico-politici) all'enunciazione delle ragioni per accogliere le sue tesi. 





Bibliografia provvisoria:

Badiou, A., Logiques des mondes
Badiou, A., Deuxième manifeste pour la philosophie
Bencivenga, E., La dialettica hegeliana
Berto, F., Che cos'è la dialettica hegeliana?
Deleuze, F. e Guattari, G., Mille plateaux
Deleuze, F. e Guattari, G., Qu'est-ce que la philosophie?
Ferraris, M. Documentalità
Ferraris, M. Esistere è resistere
Ferraris, M. e Di Caro, M. Bentornata realtà!
Fusaro, D., Il futuro è nostro
Fusaro, D., Fichte, Marx, Gentile
Lowe E. J., Action Theory and Ontology, in Blackwell companion on philosophy of action.
Marconi, D. Realismo minimale
Marconi, D. Per la verità
Putnam, H.
Quante, M. Hegel's concept of action
Recalcati, M. 
Sperber, D., La contagion des idées

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