C'è qualcosa di profondamente simile nella teologia spinoziana e nella metafisica buddhista. Questa vede l'essere come vuoto, mentre Spinoza lo percepisce come Tutto: i due concetti sono mistici, hanno un significato diverso dal loro normale campo semantico (quello della fisica per "vuoto", quello della logica per "tutto").
Il significato di Vuoto e di Tutto rimane vago anche per chi creda di averne un'intuizione abbastanza precisa: nessun riferimento è possibile nei due casi se non un'esegesi della teoria implicita nei concetti.
Dire che l'essere è essenzialmente vuoto significa che al di sotto del molteplice divenire c'è un essere Uno, un Nulla che annulla tutte le differenze che si manifestano come fenomeni spaziotemporali (samsara).
Dire che l'essere è il Tutto significa invece dire che non v'è spazio, nell'essere, per il non-essere, ossia per la coscienza sartriana intesa come centro di possibili negazioni.
In entrambi i casi è: come far apparire all'essere (della mia coscienza modale) ciò che sempre già è nell'assoluto della sostanza-uno? Come allontanarsi dall'illusione del negativo?
La risposta è senz'altro: la presenza mentale.
PS: per chi non vuol seguire la strada mistico-intuitiva, segnalo che Antonio Damasio, in Alla ricerca di Spinoza, spiega l'etica spinoziana in funzione dell'omeostasi emotiva, evoluzionisticamente e individualmente vantaggiosa.
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