E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

lunedì 22 maggio 2017

Paris 8 (Roman nouveau, 5)


Paris 8


L'università di Paris 8 - Vincennes/Saint-Denis si chiama così perché un tempo si trovava a Vincennes, proprio dentro l'omonimo bosco a sud-est di Parigi <mappa>, mentre dal 1980 è stata spostata a Saint-Denis <mappa>.
Lo spostamento di Paris 8 da Vincennes a Saint-Denis non è stato un semplice atto urbanistico-amministrativo ma una vera aggressione politica. A Paris 8 insegnavano, tra gli altri, Deleuze, Lyotard, Foucault; insieme a Nanterre (Paris X), Paris 8 (col numero arabo) era l'università più rivoluzionaria di tutta la capitale francese. Dagli anni Sessanta vi si conducevano esperimenti didattici di stile un po' anarchico. Le video e audio-registrazioni delle lezioni di Deleuze conservano un ricordo di tutto ciò. Nell'aula deleuziana non vigeva alcuna gerarchia, tranne quella dovuta al carisma del professore, che non sedeva in cattedra ma in mezzo agli studenti. Le domande sgorgavano liberamente, tutti potevano chiedere ciò che volevano, in un regime di uguaglianza sostanziale.
Ma quali sono i limiti di una rivoluzione micro-politica accettabili dall'istituzione accademica strutturalmente fascista? Si dice che a un certo punto fu assegnata una maîtrise (laurea) ad un cavallo, in segno di spregio per i diplomi e con gesto mimetico – penso io – della nomina senatoriale del cavallo di Caligola.
Sia come sia, le istituzioni dissero basta. Sindaco di Parigi era Jacques Chirac, immeritatamente destinato a diventare due volte presidente della République: lui e la ministra dell'Instruction publique diedero l'ordine di sgombrare l'università di Vincennes, i cui edifici in muratura furono rasi al suolo dal furore normalizzatore. In seguito alla distruzione punitiva, l'università fu ridislocata a Saint-Denis (donde il doppio nome), agli antipodi di Vincennes, a nord-ovest, in una vera e propria banlieue, città nella città, ghetto abitato in gran parte da arabi e africani, a quel tempo di prima e seconda generazione.
La nuova sede universitaria era costituita da prefabbricati che durarono per decenni, almeno fino a quando ci andai io nel 1997, e soprattutto fu costruita proprio a cavallo di una superstrada, quasi a evidenziare che la punizione per i professori rivoluzionari, che avevano insultato le istituzioni borghesi, doveva ricadere in eterno sugli studenti. Quando dico “a cavallo di una superstrada” intendo proprio che per andare da una parte all'altra dell'università si attraversavano dei ponti e dei corridoi sopraelevati: non li ho mai visti dalla prospettiva degli automobilisti ma suppongo che per loro il tutto debba avere un po' l'aria di un autogrill.
In seguito, poi, i socialisti fecero in modo di dotare l'università della più grande biblioteca universitaria di Francia, come indennizzo per l'umiliazione subita; tuttavia in questa babelica biblioteca, che a me piaceva molto, furono dimenticate cose fondamentali come le prese per i computer.

La prima volta che misi piede a Paris 8 ebbi una sensazione mai conosciuta prima. Io che ero vissuto sempre nella provincia italiana ebbi la percezione diretta di essere parte di una minoranza etnica: era luglio e non c'erano molti studenti, ma a una prima occhiata quelli che erano lì erano tutti arabi o africani. Non mi ero mai trovato in mezzo a tanta gente con la pelle di un colore così più scuro della mia e mi sentii immediatamente fuori posto.
Cercavo la segreteria del dipartimento di filosofia e trovai una stanzetta affollata di persone che con l'ufficio non c'entravano nulla. Ancora non sapevo che quella di filosofia a Paris 8 era una "segreteria collettiva", in cui tutti i presenti rispondevano alle domande di chiunque, se sapevano farlo. Nessuna autorità, nessuna gerarchia: si potrebbe dire che il segretario fosse solo una singolarità della moltitudine. In realtà era un tipo scazzatissimo, ma questo l'ho capito più tardi.
Chiesi del segretario e mi dissero che era via, nessuno sapeva se e quando sarebbe tornato. Dato che era la mia ultima occasione per farmi firmare da Badiou le carte vidimate dalla segreteria, necessarie per poter iniziare l'anno universitario a settembre, provai l'angoscia di vedermi a un passo dalla meta e poi fregato, come per l'Erasmus con Derrida.
Vagando a caso per i corridoi qualcuno mi additò per miracolo il segretario di filosofia, che passava di lì proprio in quel momento: era un signore coi capelli rossi e un nomignolo che mi sembrava arabo e invece era berbero. Aveva un aspetto hippy: barba lunga e incolta, berretto maghrebino, parecchi anelli vistosi e soprattutto un'aria di strafottente importanza che nel corso degli anni mi diede sempre più fastidio. Mi disse che ormai erano cominciate le vacanze e che Badiou potevo trovarlo soltanto alla proclamazione dei vincitori del concorso per l'ingresso all'Ecole Normale Supérieure, in Rue d'Ulm. Decisi pertanto di andare a cercarlo lì, all'Ecole Normale Supérieure, in Rue d'Ulm. Nonostante l'angoscia di rischiare il fallimento della mia impresa, ero anche invogliato dal desiderio di vedere la mitica grande école nella quale avevano prima studiato e poi insegnato i più importanti filosofi francesi del XX secolo.

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