E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

martedì 23 maggio 2017

École Normale Supérieure (Roman nouveau, 6)


École Normale Supérieure

Un paio di giorni dopo avveniva infatti la proclamazione dei futuri normalisti. Mi recai in Rue d'Ulm al mattino presto e mi feci dire a che ora ci sarebbe stata l'informale cerimonia (una pubblicazione di risultati). Poi andai ad aspettare in un caffè lì vicino.
Prolungai la colazione fino al momento che mi parve opportuno per avvicinarmi a quel tempio del sapere scolastico, nel quale avrei trovato la mia divinità vivente: il professor Alain Badiou, allievo di Althusser, uno che da giovane parlava con Lacan e Foucault e contestava Deleuze!
Entrai all'Ecole Normale facendomi strada tra ragazzi e ragazze sovreccitati (essere ammessi là dentro come studenti significa rischiare di vedere il proprio destino pesantemente realizzato, o più prosaicamente: significa avviarsi a far parte della classe dirigente, di cui peraltro quasi tutti i normalisti sono già figli). Chiesi di Badiou, e qualcuno mi disse che lo avrei trovato nel cortile. Non sapevo bene che faccia avesse, non l'avevo mai visto prima. Sui suoi libri non c'erano fotografie e nel 1997 internet quasi non esisteva (anche se usavo l'email già nel 1993 per corrispondere con la fidanzata andata a Roma per il dottorato) e soprattutto non c'erano le immagini on-line, quindi non potevi verificare sui due piedi che faccia ha un tizio famoso qualsiasi.
Vidi un uomo di mezza età attorniato da alcuni giovani deferenti e qualche adulto e capii che si trattava di lui. Mi avvicinai e aspettai che finisse di parlare col suo interlocutore.
- Buongiorno, mi scusi, è lei monsieur le professeur Badiou? chiesi io con un rispettosissimo sorriso.
- Absolument, rispose Badiou.
Questo "assolutamente" mi parve brillantissimo. “Sono assolutamente io” è una frase bizzarra, sembra sarcastica e priva di senso: invece secondo la teoria matematica delle categorie un oggetto x può essere più o meno simile a se stesso. La specificità di Badiou è in effetti il suo mescolare creativamente matematica e filosofia, in un modo incomprensibile e fastidioso per i matematici, e intimidente per i filosofi digiuni di matematica. Badiou parla d'amore e di politica attraverso formule simboliche più o meno fantasiose. Ha ereditato questo stile formulare da Jacques Lacan, di cui seguiva i Seminari a Parigi negli anni Settanta e Ottanta, e dal quale è stato influenzato moltissimo, come tutti i filosofi della sua generazione.
Nella sua ultima filosofia, che stava elaborando all'epoca in cui arrivai a Parigi, Badiou mutua i suoi concetti ontologici dalla teoria delle categorie, o topoi, di Eilenberg e MacLane. In questa teoria un oggetto x formalizzato in un mondo o trascendentale ha un certo grado di somiglianza con un oggetto y: se il grado di somiglianza è massimo, x e y coincidono, e l'identità (x=x) è un caso particolare di somiglianza categoriale.
Al nostro primo incontro, insomma, Badiou mi diede una lezione che non potevo comprendere, perché quando arrivai a Parigi non sapevo quasi nulla di matematica, e tanto meno di teoria delle categorie.
- Io sono lo studente italiano – gli enunciai cercando di sembrare quanto più possibile diverso da uno scocciatore – che l'ha cercata per l'iscrizione al D.E.A. Mi scusi se la disturbo proprio oggi, in questo contesto e in questa situazione particolare, ma le ho telefonato molte volte e non l'ho mai trovata...
- Ah sì – disse il grand'uomo. E non disse altro.
- Ecco, ripresi allora io, dovrei sapere con certezza se lei acconsente alla mia iscrizione oppure no.
- Non c'è nessun problema, può iscriversi al D.E.A.
- Sotto la sua direzione?
- Sotto la mia direzione.
Gli feci firmare il foglio che mi avevano dato a Paris8, e per tenerglielo fermo lo appoggiai sul tettuccio di un'automobile parcheggiata nel cortile: era rovente e mi bruciai il dorso della mano, ma sopportai stoicamente il dolore per non mettere a rischio la preziosissima firma.
Me ne andai un po' stordito, con la mano dolorante. Questo semplice incontro di natura burocratica mi sembrava allora un evento quasi miracoloso, parecchio inadeguato a me. Mi pareva di subire una metamorfosi, come se stessi iniziando un processo di accrescimento glorioso, ormai circonfuso di luce destinale.
O come si potrebbe più appropriatamente dire: mi sentivo preso in una procedura soggettiva di fedeltà a quell'Evento che per me Badiou rappresentava necessariamente.

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