Ho finora omesso (e si tratta proprio di omissione), l’ovvia considerazione per cui andare a Parigi richiedeva di avere a disposizione i soldi necessari per poterlo fare. Onestamente: fino ad allora i soldi me li aveva dati mio padre.
Tuttavia durante l'università non mi consideravo un figlio di papà mantenuto, perché quando avevo vinto il posto al Collegio Ghislieri avevo letto nel regolamento che con un reddito annuale minore di un tot si diventava alunni gratuitamente. I miei genitori erano separati e mia madre, da insegnante, aveva quel reddito. Perciò avevo spostato la mia residenza da lei, perché mi pareva giusto riuscire a fare i miei studi universitari in collegio senza pagare, per una specie di mio merito intrinseco che sentivo di avere.
Mio padre però si era accorto del mio cambio di residenza e l'aveva nuovamente spostata a casa sua senza dirmi nulla: quando me ne accorsi andai su tutte le furie ma lui sostenne assurdamente che avevo fatto una cosa illegale e che non potevo spostare la residenza siccome nella separazione dei miei genitori ero stato affidato a lui. Così, per i primi tre anni al Ghislieri mio padre dovette stupidamente pagarmi il collegio nel quale avrei invece potuto studiare gratuitamente. Al quarto anno riuscii a spostare nuovamente la residenza e a convincere il Rettore che doveva permettermi di non pagare nessuna retta.
Al secondo anno di università ero passato a filosofia, e mio padre aveva detto che da allora in poi avrei dovuto pagarmi tutto da solo. Non mi parlò per due mesi. Verso la fine del mio periodo universitario si era dato una calmata: si era ormai rassegnato al fatto che con una laurea in filosofia non avrei trovato molto presto e facilmente un lavoro decente.
Quando gli dissi che dopo la laurea volevo andare a studiare a Parigi, mio padre mi chiese rabbiosamente se non volevo far altro che studiare per tutta la vita. Poi però, siccome lo avevo convinto che avrei iniziato a tradurre il libro di Badiou e avrei guadagnato qualcosa, aveva acconsentito a mantenermi almeno per il primo anno di studi a Parigi.
A Parigi sì che ero un figlio di papà mantenuto. Oramai non mi ponevo nemmeno più la questione del merito: così volevo che fosse, e tanto mi bastava. Va detto però che lo stato francese mi aiutava a pagare l'affitto, dandomi la metà di ciò che spendevo per quell'appartamentino preso insieme a Yves.
Ma il venir meno della prospettiva di tradurre Deleuze. La clameur de l'être, di Alain Badiou, mi metteva davanti all’ipotesi di un fallimento economico assoluto.
Per fortuna c’era mio padre, che mi sosteneva economicamente controvoglia.
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