E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

sabato 21 settembre 2019

Ricordi vergognosi, 1

Ingannando mio padre, riuscii a vedere per tre volte Excalibur.
Era la scena di sesso tra Ginevra e Lancillotto, quella che più mi emozionava, e che mi spinse alla prima menzogna importante della mia vita.

lunedì 16 settembre 2019

Intuizione 55

- Sai perché sono socievole?
- ...
- Perché impiego MOLTISSIMO TEMPO prima di accorgermi che l'altro è uno stronzo egocentrico che trova simpatico il mio essere empatico.

lunedì 15 luglio 2019

giovedì 11 luglio 2019

Con uno schianto (Intuizione 53)

In un capitolo di "Life examined" che mi aveva colpito per la sua evidente falsità pur nell'argomentazione brillante, Robert Nozick sostiene che dopo la Shoah la specie umana non abbia più un valore intrinseco: potrebbe estinguersi senza che il valore complessivo dell'universo ne venisse sminuito. 
Io penso invece che nei pochi decenni che ci separano dall'apocalisse il “general intellect” raggiungerà vette tali da costituire oggettivamente un valore in sé, una forma di sublime insieme dinamico-matematico mai realizzata prima nell'universo, e di tale potenza da rischiare di poter influenzare l'universo stesso. 
Ma questo giungerà troppo tardi, e la nostra estinzione, a differenza di quello che fingeva di pensare Nozick, costituirà una vera e propria tragedia universale.

Fuggire nel tempo (Intuizione 52)

Proliferano da alcuni anni i prodotti dell'industria culturale sui viaggi nel tempo (Harry Potter, Interstellar, Avengers, Dark...).
Manifestazione chiara del riposto sogno ideologico-immaginario dell'individuo consumatore: l'impossibile fuga dal determinismo oppressivo, eterno ritorno dell'uguale, del presente sistemico.

giovedì 7 marzo 2019

Diario in caso di morte, 1

Ho di nuovo molto timore della morte


Qualche mese fa, dopo un pranzo con bagna cauda, mi è venuta la tachicardia forte: mi sono svegliato di notte all’improvviso con il cuore che batteva all’impazzata e ho pensato che stesse per venirmi un infarto.
Mi era già successo in passato, e avevo fatto gli esami del caso, ma una sensazione così sgradevole non mi pareva di averla mai provata. E soprattutto il cuore non si fermava più, non smetteva più di battere velocissimo. 


Sono passati tre mesi e continuo a non stare molto bene: spesso mentre sto facendo lezione, sento qualcosa dentro di me come un rischio di implosione, mi pare di perdere l’equilibrio e le gambe non sembrano salde, così, senza parere, mi siedo mentre sto parlando, continuando a parlare come se niente fosse, o almeno spero che nessuno dei miei allievi si accorga di niente. Non sembrano accorgersi di niente.
So che si potrebbe pensare a qualcosa come delle crisi di panico, ma non penso proprio che sia il mio caso perché tutto ha avuto inizio con uno scompenso fisico.
Una condotta razionale mi porterebbe naturalmente a consultare un dottore ma io: 1) prima di consultare un dottore faccio le mie ipotesi diagnostiche e mi somministro le cure: in questo caso ho tolto fin dall’inizio dei disturbi vino, caffè e, tè; 2) ho paura che il dottore mi prescriverebbe degli esami del sangue, e quella per me è una prova superiore persino al trapano del dentista: rende la vita indegna di essere vissuta.

...

Ho deciso di ricominciare a praticare la presenza mentale: sento di dover rinunciare a ogni trascendenza, a ogni progettualità, a ogni desiderio.
Devo raggiungere l’immanenza apatica: se sopravviverò sarò più forte, se morirò sarò stato coerente.



martedì 19 febbraio 2019

La morte come liberazione (Intuizione 51)

Non mi era mai davvero capitato di percepire la vita come tedio ASSOLUTO, e di pensare che, data anche una certa età (46 anni), morire ora non sarebbe affatto una tragedia.
Sarebbe forse anzi un puro sollievo.
Senza credere in alcun modo a una vita dopo la morte, la morte potrebbe essere semplicemente un cambiamento radicale, l'unica possibilità che qualcosa torni ad essere possibile.

domenica 10 febbraio 2019

Se ascolto Arisa, Mi sento bene (Sanremo 2019)


So che molti non saranno d'accordo ma penso che la canzone sanremese di Arisa, Mi sento bene, sia quella più significativa e degna di nota.
Tutti, a destra e a sinistra (per motivi ovviamente opposti), concordano che viviamo in un'epoca di passioni tristi per dirla con Spinoza e lo psicoanalista Benasayag: un'epoca dove trionfa l'atomizzazione della società e la depressione, nemmeno sublimata in spleen. Una depressione spesso travasata in pratiche esistenziali autodistruttive e preoccupantemente individualistiche (e sessiste), come quelle cantate dai rapper, tra i quali anche Achille Lauro di cui tanto si è parlato per il suo inno alla Rolls Royce (automobile di lusso o droga sintetica, o tutt'e due?).
La canzone di Arisa, cantante alla quale nessuno nega evidenti doti canore e musicali, ha un titolo e un testo alquanto banali, che ha provocato il giudizio negativo di molti.
Io voglio difenderla.
La musica della canzone è interessante, tripartita com'è in un'intro e una chiusa melense da musical disneyano, e in un corpo centrale concitato dal ritmo serrato esaltante, con una linea melodica fatta di guizzi verso l'acuto e rotonde ricadute alla partenza. Un esperto mi ha suggerito che lo stacco tra primo e secondo tempo potrebbe addirittura ricordare il David Bowie di Station to Station, e in ogni caso, mi pare musicalmente figa, degno di Elio e le storie tese o di un buon musical.
Il testo della canzone propone una specie di visione zen adatta ai nostri tempi, forse più femminile che maschile: rinunciare a pensare troppo alla nostra finitudine, al passato, ai desideri irraggiungibili, e aderire alla realtà può far sentire bene.
È un messaggio ambiguo: se appare superficialmente banale è in realtà ben difficile da praticarsi. D'altra parte, sul piano politico rischia di essere quietista e reazionario, un rischio insito in generale nelle filosofie orientali, che insegnano appunto a votarsi all'adesione a ciò che è, più che la progettazione di ciò che potrebbe essere e ancora non è (compito che in Occidente la filosofia si è caricata sulle spalle da Marx e la sinistra hegeliana in poi).
Da una prospettiva pop-zen, Arisa indica una via individualmente percorribile per staccarsi dalle passioni tristi: guardare una serie alla tv, fa stare bene (per qualcuno fa persino pensare), fare l'amore fa stare bene, sentirsi belle perché qualcuno ci desidera fa stare bene, ecc.
Questo “stare bene” mi colpisce perché è ambiguo: da un lato sembra indicare una rinuncia a qualcosa di più elevato o di più complesso, dall'altro sembra un obiettivo difficile da raggiungere, nonostante la sua apparente facilità (“quasi elementare e semplice”).
Le premesse filosofiche non sono tra le meno serie: abbandonare il desiderio di eternità (“basta non pensarci più e vivere”) proprio di una buona metà della filosofia occidentale e di quasi tutta la filosofia orientale); abbandonare la ricerca del senso del transeunte (“chiedersi che senso ha, è inutile, se un giorno tutto questo finirà”).
La natura contradditoria e tragica della realtà è esplicitamente definita “questo assurdo controsenso”: una visione schopenhaueriana della realtà che non dispiacerebbe forse a Houellebecq.
Il messaggio pratico di Arisa, il suo “tetrafarmaco”, sembra essere il non pensare al passato (“cosa ne sarà dei pomeriggi al fiume da bambina, degli occhi di mia madre, quando questo tempo finirà? Se non ci penso più mi sento bene”).
Tra i mali di vivere su cui fare epoché, come gli antichi stoici, Arisa annovera giustamente la vecchiaia (“non aver paura d'invecchiare”, una frase che potrebbe essere di Battiato). Nel buddhismo ci sono anche malattia e morte, ma a una canzone di Sanremo non possiamo chiedere troppo.
Se facciamo un confronto con la canzone vincitrice di qualche anno fa, Occidentalis karma, capiamo che per noi occidentali la filosofia orientale ha due possibilità entrambe spettacolarizzabili: la sua superficializzazione postmoderna e pop, da Battiato a Francesco Gabbani, oppure la sua interiorizzazione dagli esiti imprevedibili, da Schopenhauer a Noah Yuval Harari, e Arisa.
Se contrapponessimo le due possibilità come Heidegger faceva per l'autenticità e l'inautenticità, ricadremmo in un eroico dualismo della scelta, poco probabile ai giorni nostri.
Lasciarci trasportare dalla canzone di Arisa potrebbe suggerirci come trovare nella nostra quotidianità per lo più alienata qualche isola di tranquillità, se non proprio l'oceano di silenzio invocato dal maestro Battiato.
E più non penso e più mi sento bene.”

martedì 15 gennaio 2019

Il più bel Lied mai composto: Beim schalfengehen (R. Strauss su testo di H. Hesse)

BEIM SCHLAFENGEHENANDANDO A DORMIRE
Nun der Tag mich müd gemacht.
Soll mein sehnliches Verlangen
Freundlich die gestirnte Nacht
Wie ein müdes Kind empfangen.
Ora il giorno mi ha spossato
ed allora il mio ardente desiderio
è di accogliere con gioia la notte stellata,
come un fanciullo affaticato.
Hände, lasst von allem Tun,
Stirn, vergiss du alles Denken,
Alle meine Sinne nun
Wollen sich in Schlummer senken.
Mani mie, giacete inoperose,
mente mia, dimentica ogni pensiero,
tutti i miei pensieri ora
bramano soltanto abbandonarsi al sopore.
Und die Seele, unbewacht,
Will in freien Flügeln schweben,
Um im Zauberkreis der Nacht
Tief und tausendfach zu leben.
E la mia anima indifesa
vuoi librarsi alta nell'aria
per vivere profondamente e sotto mille aspetti
nel cerchio magico della notte.