Nell'emergenza epidemica i filosofi e le filosofe sono chiaramente in crisi, ma reagiscono in modo diverso.
Ci sono quell* che si lanciano sulle macrointerpretazioni dell'Evento, ovviamente in modo da confermare le loro precedenti letture della realtà: Agamben e Zizek esemplificano bene questa prima possibilità, ma anche Maurizio Ferraris.
Ci sono poi quell* che si occupavano di questioni particolari su cui si costruisce una carriera, nel mondo iperspecialistico dell'accademia contemporanea: se si occupavano di genere e sesso ora proveranno a dire qualcosa su genere e sesso durante l'epidemia, ecc.
Io, se fossi un filosofo, vorrei seguire una terza via: provare a pensare quello che (mi) sta succedendo senza dare per scontate teorie pre-pensate.
Sarebbe chiaramente una via più singolare e narrativa, che forse non porterebbe a nulla di interessante sul piano filosofico.
Ma in filosofia continuo a preferire nessuna verità che delle false verità.
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