E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

mercoledì 19 maggio 2010

Interpretanti e Trasformatori, 1. Intellettuali che vogliono educare il pubblico


"The current populations of academicians, intellectuals, and experts in the social sciences and humanities are by and large ill-equipped to undertake the collective task of revolutionizing our knowledge structures." (D. Harvey)

L’opposizione marxiana interpretare/trasformare può essere utile per classificare gli intellettuali italiani odierni.
Alcuni, grosso modo i debolisti, si accontentano di INTERPRETARE il Testo generale; possono essere in buona fede ("non c'è altro da fare"!) e speranzosi che una buona pratica ermeneutica potrà indebolire le violente strutture metafische su cui si fonda l'Occidente e il suo potere.
Gli altri vogliono invece TRASFORMARE la realtà sociale e sono per lo più post- o neo-marxisti, con qualche rara e luminosa eccezione (Goffredo Fofi, vicino alla nonviolenza capitiniana ed esponente di una forma di socialismo libertario per certi versi vicina a qualche varietà di anarchismo).
In generale, i Trasformatori sono convinti del chiasma teoria-prassi, e più genericamente della connessione tra pensiero e azione (culturale e sociale): essi si autointerpretano generosamente come attori sociali dotati di un effettivo potere.
Tra coloro che vogliono trasformare, si potrebbe operare un’ulteriore distinzione: da una parte vi sono coloro che mirano a modificare in meglio la realtà sociale, il “popolo” e il “pubblico”; dall'altra parte ci sono coloro che, più umilmente e realisticamente, sanno di potere tutt'al più modificare alcune rappresentazioni mentali degli stessi intellettuali, partendo dunque da sé come gruppo sociale dotato di potenzialità uniformi e sperando che una trasformazione maggioritaria del proprio gruppo professionale possa renderlo complessivamente più attivo dal punto di vista sociale.

Chi vuole trasformare popolo e pubblico lamenterà la cattiveria dell’industria culturale, disprezzerà i libri di successo (e i loro autori, considerati talvolta quasi alla stregua di squallidi traditori) e invocherà un'avanguardia culturale che possa incidere buoni segni sulla tabula rasa della mente comune, egemonizzata dal mercato spettacolare.
Si tratta ovviamente di una forma di culturalismo (la mente è inizialmente vuota e solo la la cultura la riempirebbe di pensieri) che assume le fattezze di un vero e proprio leninismo culturale, fondato sul mito dell'avanguardia che forza la storia e impone la giusta linea di condotta alle masse.
Dopo i tragici e sublimi Anni Settanta e il fallimento delle facili utopie fondate sull'erronea visione della mente-tabula rasa (l'educazione può tutto, un giorno la dodecafonia sarà la musica del popolo e l'espressionismo astratto il genere di pittura preferito dalle famiglie) la realtà sociale ha già risposto al culturalismo seppellendolo con un'amara gran risata.
A questi compagni che sbagliano, i Trasformatori che persistono nell'errore culturalista, temo che la società riserverà per congedo un altro genere di manifestazione corporea, di tipo più bachtinianamente comico.

3 commenti:

Unknown ha detto...

l'unica trasformazione è l'autotrasformazione. ma è un percorso privato.

edoardo.acotto@gmail.com ha detto...

forse se sei e ti pensi membro di una classe, trasformandoti come membro contribuisci anche alla trasformazione della classe.
Il buddhista mahayana non vuol forse trasformare anche gli altri esseri oltre a sé?
L'autotrasformazione non è contagiosa?
Eterotrasformazioni, materiali e psichiche, sono certo possibili ma le rivoluzioni di solito non comportano un grande miglioramento globale, anche se incorporano una forte quota di desiderio (non sempre di libertà).

edoardo.acotto@gmail.com ha detto...

Ho dimenticato un ultimo tipo, che mi risulta ora evidente seguendo il dibattito sui romanzieri under 40 iniziato sul Sole24ore qualche tempo fa...
Ci sono amnche gli intellettuali-scrittori, a cui importa unicamente della scrittura: la loro missione è salvare il romanzo, inventare personaggi memorabili, scrivere capolavori.
Questi li chiamerei gli intellettuali-che-vogliono-solo-scrivere.
Ma scrivere per chi, per cosa, oltre che per il denaro e la fama?