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lunedì 27 settembre 2010

Interpretanti e Trasformatori, 2. Sul film di Andrea Cortellessa

Domani o al più presto ne scrivo.
Film interessante e dibattito ancor più interessante.

Ritengo questi punti di riflessione:

1) la questione del canone letterario nell'era digitale

2) la (dis)funzione del critico nell'epoca dei mass-media

Nonostante le eventuali denegazioni, il Critico Trasformatore si riferisce ancora al soggetto cartesiano: pensa ai soggetti come enti unitari dotati di attributi, i pensieri, le idee, che avrebbero proprietà causali.
Ma il potere causale del soggetto è oggi decostruito, non dico dalla filosofia postmoderna - sarebbe una banale e irritante ovvietà - ma dalla neuroscienza, dalla scienza cognitiva e dalla cosiddetta neurofilosofia.
Il gap da colmare per la cultura umanista, anche nell'intento di recuperare efficacia critica e sociale, è proprio quello relativo all' "immagine del pensiero" (Deleuze), o semplicemente alla teoria della mente.
Giudico IMPOSSIBILE per la cultura umanista recuperare terreno sul campo del reale sociale, a meno che gli umanisti, critici, autori, lettori, non si dotino di più moderni strumenti tratti dalla neurofilosofia cognitiva della mente (etichetta inesistente ma sintetica).

3) l'invidia/risentimento = peronismo della Rete (avevo già uno spunto a partire da un articolo di Ricuperati e da uno di Belpoliti)

Che la Rete sia l’arena di un nuovo peronismo digitale è giudizio allarmistico di molti, tra i quali si colloca anche Cortellessa. Sono certo che questi critici abbiano le loro buone ragioni per gridare al peronista: in Rete gli scontri e le fiammate sono molto frequenti (complice, probabilmente l’interazione in absentia che consegna ogni comunicatore ai propri fantasmi e alle proprie idealizzazioni dell’altro interlocutore, per non dire: dell’Altro).
Tuttavia a monte della Rete ci sono sempre i medesimi individui che pochi anni or sono venivano descritti dai sociologi come “atomizzati”, e che oggi qualcuno cerca ancora di compatire come poveri individui postmoderni troppo “liquidi” per essere autentici.
La Rete è un luogo/mezzo di comunicazione, e poiché non è affatto vero che il mezzo sia il messaggio, almeno non finché si riconduca lo slogan mcluhaniano a un senso concretamente comprensibile, ecco che gli individui comunicanti in Rete si scambiano innumerevoli messaggi altrimenti impossibili.
Cortellessa riconduce il modello della comunicazione in Rete a quello vetusto della televisione, argomentando (come anche Gilda Policastro, sulla cui opinione non mi soffermo ora) che in Rete la fruizione letteraria e culturale (e non soltanto, suppongo , a seguire l’argomento, che non condivido) diventerà necessariamente “egoscopica” (G. Ricuperati), frammentaria, distratta e superficiale.
Mi pare che Cortellessa, e chi come lui non vuole sforzarsi di riconoscere la specificità ontologica e comunicativa della Rete, utilizzi per comprenderla e criticarla un modello che ad essa non è semplicemente applicabile, quello della comunicazione broadcasting, la passività top-down della fruizione televisiva.

Se l’esempio personale conta (e conta proprio perché, come credo, la Rete delinea, fortifica e responsabilizza gli individui anziché infantilizzarli come la televisione), nel mio caso, ossia dal 2001 pre-Genova G8 la Rete è stata un luogo appassionante e arricchente nel quale ho potuto trasmettere messaggi, e riceverne, a persone altrimenti irraggiungibili dalla mia limitatissima sfera privata e pubblica di intellettuale piccolo borghese di provincia.

La gerarchia intellettuale di cui Cortellessa lamenta la mancata considerazione da parte del popolo della Rete, è anche un mio valore: tuttavia non ritengo che tale gerarchia debba essere difesa istituzionalmente. Essa si esplica e stabilisce attraverso una selezione interattiva, sorta di evoluzione darwiniana delle credenze e opinioni.
Sfido chiunque ad argomentare che le credenze di massa dell'epoca digitale siano più false di quelle dell'epoca precedente!
L’atteggiamento che Gianluigi Ricuperati raccomandava ieri allo scrittore – scrivere senza curarsi dell’effetto che il libro sortirà sui lettori – è anche il modello di autoformazione intellettuale che mi pare di veder funzionare in Rete. Mi sembra che gli internauti applichino tale modello, poiché sono in principio sempre pronti (ovvia eccezion fatta per i casi patologici) ad ammettere di avere torto e a ricredersi su opinioni espresse avventatamente. In Rete ci si confronta, si sbaglia, ci si può correggere, talvolta si diventa migliori. Non sempre, è ovvio, ma nemmeno nella cosiddetta “vita reale” le persone sono particolarmente propense a correggere i propri errori come già Descartes aveva ben notato (“le bon sens est la chose du monde la mieux partagée: car chacun pense en être si bien pourvu”).

4) la questione dell'economia della cultura: si può essere anti-capitalisti in maniera frammentaria (ossia soltanto riguardo alla letteratura)?

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