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venerdì 4 giugno 2010

La sindrome di Stendhal e la professoressa di fisica

Fino al penultimo anno di liceo ero molto bravo in matematica e fisica, ero intuitivo e lavoravo con facilità e soddisfazione. Sentivo che la mia mente mi portava da quella parte e avevo l’intenzione di iscrivermi al corso di laurea in fisica o matematica.
Poi arrivò una professoressa giovane e carina, di cui nemmeno ricordo il nome, e tutto cambiò. La prof era una ragazza alta, carina e molto affettuosa con me, e l’agio con cui ci spiegava fisica e matematica mi conquistò in tempi brevissimi.
Gradualmente la matematica e la fisica persero quella fredda esattezza che prima le contraddistingueva ai miei occhi: non più perfette porte e finestre sull’essere, ora erano incorniciate dalla femminile presenza di lei. Dietro alle equazioni c’era ora la mia speranza di risolverle bene, per lei, e la mia paura di sbagliarle e di apparire ai suoi occhi uno qualsiasi, come i miei compagni, magari volenteroso ma incapace.
Quasi non conservo memoria di nulla di tutto ciò, ma so che è successo davvero, anche se forse nessuno oltre a me potrebbe testimoniarlo.
[continua]

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