E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

domenica 12 settembre 2010

Rispostina a Francesco Piccolo sugli intellettuali e il Nuovo

[Questa nota è molto vecchia: non sapevo chi fosse Francesco Piccolo. Ora so chi è, perché sto leggendo il suo La separazione del maschio e ne parlo a questo link]

(commento a un articolo sul Domenicale di oggi, 12 settembre)

A mio parere, la percezione dell’intellettuale come reazionario è fondata dall’atteggiamento che la maggior parte degli intellettuali “umanisti” ha nei confronti della mente, considerata come una tabula rasa soggetta alle varie impressioni dell’ambiente sociale, dunque a cultura educazione repressione ecc. La concezione della mente come tabula rasa, criticata dalla psicologia evoluzionistica (con gli eccessi di Steven Pinker) ha portato gli intellettuali ad autoconvincersi che con l’aumentare degli stimoli sociali la mente si saturi di spazzatura. Così non si capisce che gli stimoli che provengono dal mercato sociale rispondono anche (se non soltanto) alle esigenze della reale natura della mente, pur mercificate dalle dinamiche del capitalismo: i bisogni dei consumatori non si inducono partendo da zero ma si sfruttano selezionando quelli più profittevoli.
La paura dell’“invasione della mente” inizia forse con la nascita dell’antropologia culturale (scoprire popoli con usanze diverse alimentò il falso mito di una variabilità infinita delle possibilità antropologiche) e continua al giorno d’oggi con l’adozione della vulgata postmoderna, che separa la mente dalla materia e rende puramente culturale le sorti del pensiero sociale. Il marxismo e il cutluralismo di sinistra, ovviamente, sono tra le filosofie contemporanee più responsabili di avere propagato il modello della mente tabula rasa (si veda sull’argomento il libretto di Singer: Per una sinistra darwiniana).
Finché gli intellettuali di sinistra continueranno a trovare buoni argomenti nelle critiche heideggeriane alla tecnica, o nell’errata idea orwelliana che il pensiero dipenda totalmente dal linguaggio (propria anche dell’anti-berlusconismo più impotente), l’intellettuale umanista verrà sempre considerato un tecnofobo e un alleato della conservazione. E a ragione!

[cfr. Interpretanti e Trasformatori, 1. Intellettuali che vogliono educare il pubblico]

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