Ieri mi è tornata in mente la possibilità della presenza mentale. Non ci pensavo da molto tempo, e anche quando ci avevo pensato non mi era venuto in mente di ricominciare a praticarla. Ieri invece ho capito che potevo ricominciare. E ho ricominciato. Con calma. Senza pretendere. Senza sperare. Senza volere.
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Ho solo ricominciato a guardare la cose dal fondo della mia testa, devo dire così perché l'impressione è quella. Poi spiegherò meglio, farò un resoconto quasi quotidiano, anche minimo, dei miei progressi. Un diario della presenza mentale.
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Se dovessi quantificare, direi che attualmente sono all'1% della mia capacità di presenza mentale, ma intanto è un inizio.
Effetto immediato: rallento le mie azioni, rinuncio a talune che mi vengono in mente solo come divertissement dalla noia dell'istante attuale.
(Primo risultato: sto di meno su Facebook.)
4 commenti:
Che cos'è la presenza mentale?
Se stasera vieni da noi a mangiare il gelato te lo spiego :-D
E' un modo di interpretare e praticare il messaggio del Buddha (proprio del buddhismo zen vietnamita di Thich Nhat Hanh): detto in soldoni DEVI PENSARE TUTTO QUELLO CHE FAI ISTANTE PER ISTANTE, o più che pensare devi accompagnarlo con la coscienza, non distrarti mai, non fantasticare, non divagare coi pensieri. Un facile slogan: quando lavi i piatti lava i piatti...
GUARDARE. Mi pare che ci sia qualcosa in comune con la fenomenologia husserliana: guarda i fenomeni come fenomeni, ossia considerandoli come realtà autentica entro i loro limiti di fenomeni (ho parafrasato una famosa frase di Husserl).
Non devi FISSARTI sulle cose, bensì percepirle nella tua coscienza: pensa che la tua coscienza sia allargatissima per non dire infinita e coincidente col mondo (e qui altre connessioni possibili con Sartre e Deleuze ma ne scriverò con calma).
Anche io la sto praticando Edo..ho sempre pensato a una cosa del genere, addirittura la prima volta, stavo veramente lavando i piatti..ma non ero nelle condizioni esperienziali, di riuscire a metterla in atto, mancavano alcuni tasselli che poi sarebbero arrivati..
Un esercizio che faccio ogni tanto e che è difficilissimo, (ancora non ci riesco bene a parte quando sono sbronzo) è quello di guardare e sentire senza dare il nome alle cose. Ovvero, vedo un gatto e cerco di non definirlo e costringerlo in pareti "monomiali".
Una sorta di sguardo epistemico.
Un tentativo d'approccio al noumeno kantiano, forse.
Non lo so, perchè non ci sono ancora riuscito del tutto.
Te lo consiglio è anche divertente.
Pasquale
Ne ho sentite tante di scuse per sbronzarsi, ma questa va davvero forte :-)
Manuel
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