Che analisi bizzarra e divertente, per usare degli eufemismi, quella di Andrea Ichino, in difesa della sua proposta (e di altri "autorevoli economisti") di introdurre un sistema di tasse universitarie per compensare i tagli al finanziamento ordinario che viene erogato dallo Stato attingendo alla fiscalità generale. Analizziamo alcune delle perle principali di questo "compitino" che svela molto dell'autore e delle sue intenzioni (e che trovate sul sito di Scienzainrete: http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/tasse-ununiversita-piu-equa-risposta-sylos-labini ).
Cominciamo dalle ormai ricorrenti osservazioni, di Ichino e di altri, che l'università italiana è autoreferenziale e lontana dai circuiti internazionali di produzione e diffusione della conoscenza. Dunque, l'università italiana è in splendido isolamento, utile a riprodurre solo sé stessa? Andando a vedere nello specifico delle diverse aree disciplinari, sembrerebbe proprio di no, perlomeno nei settori scientifici e tecnico-ingegneristici, dove è costantemente agganciata alle migliori eccellenze internazionali, come dimostrano tutti gli indici quantitativi (a cominciare dagli h-index cumulativi dei nostri ricercatori), che stranamente, guarda un po', l'"economista" Ichino, che dovrebbe essere sensibile ai numeri e ai dati reali, rifiuta costantemente di prendere in considerazione. Sorprendente, no?!? In realtà l'afffermazione di Ichino sembrerebbe contenere una parte di ragione: c'è effettivamente un sottoinsieme delle Università e dei settori di ricerca italiani che è in sofferenza, rispetto agli standard di valutazione internazionali: si tratta, nella maggior parte dei casi, delle facoltà e degli "studi" economici e giuridici, il cui fiore all'occhiello, si fa per dire, dovrebbe essere rappresentato, secondo Ichino, dalla Bocconi e dai Bocconiani, così agganciati al treno internazionale da aver conferito la laurea honoris causa al ministro argentino dell'economia, Cavallo, pochi giorni prima che la sua disastrosa cura liberista "da cavallo" portasse al crollo del governo Menem e dell'economia argentina.
Veniamo ai commenti di Ichino su "fuga dei cervelli" e dintorni. Verissimo che i ricercatori stranieri non vengono in Italia (vengono in pochi, per essere più precisi). Ma in realtà anche qui bisogna analizzare e approfondire, e se ne scoprono subito delle belle. Consideriamo il caso dell'ingegneria e delle scienze "dure", cioè dei settori decisivi affinché una Unviersità possa chiamarsi tale, e il cui avanzamento è cruciale perché un paese possa davvero progredire. Noto, in passim, che Ichino e gli "economisti liberisti" all'italiana, questo fatto, ovvero l'importanza decisiva delle scienze all'interno della dinamica universitaria, lo negano strenuamente, riflettendo in questo la natura estremamente arcaica ed arretrata di parte del mondo imprenditoriale italiano e di buona parte del pensiero economico-giuridico che lo fiancheggia. Dunque, dicevamo che nel campo degli studi scientifico-tecnologici, gli stranieri in Italia vorrebbero venire, eccome. Ma quasi sempre si ritraggono, non appena vengono loro comunicate le tristi realtà del livello di salario che andrebbero a percepire, con gli assegni di ricerca fissati, per legge, ad un lordo massimo di 23.000 € annui, senza la possibilità di incremento, anche per gruppi di ricerca che potrebbero mettere a disposizione un budget superiore con fondi propri al 100% (per esempio ottenuti vincendo competizioni e calls europee). Questo è uno dei tipici "lacci e lacciuoli" contro i quali strepitano sempre Ichino e i liberisti, e uno dei più perniciosi. Ma, guarda caso, quando si tratta di Università Pubblica, Ichino e accoliti non si curano di questi problemi di funzionalità, anzi applaudono al maggior controllo politico e ai maggiori vincoli burocratici imposti dalla "riforma" Gelmini. Buffo eh?!? Se invece di blaterare di tasse cominciassimo a cambiare queste semplici cose, vedremmo come la situazione migliorerebbe prontamente. Ma questo, cioè il buon funzionamento della ricerca universitaria italiana, sembra non appassionare troppo Ichino e la sua compagnia di giro.
Ci sono poi le sgangherate giustificazioni che Ichino porta avanti per "mitigare" il fatto che, secondo tutti gli indici di valutazione possibili, le facoltà economiche e giuridiche italiane sono messe male, e ancora peggio se si vanno a vedere le Università "private" (finanziate generosamente con fondi pubblici attraverso vari meccanismi, più o meno occulti, su cui tornerò più sotto). Ancora una volta, Ichino nega validità a tutti gli indici e gli standard riconosciuti internazionalmente (con notevolissima dose di quel provincialismo che vorrebbe attribuire ai sostenitori dell'Università pubblica di qualità) per andare a citare i soliti studi, in italiano, dei soliti amici della Bocconi e dintorni, pubblicati dalle solite case editrici degli amici degli amici. Abbastanza patetico.
Ma il peggio deve ancora venire. Incredibili infatti sono le affermazioni di Ichino sul fatto che sarebbe inutile o addirittura controproducente recuperare una parte di evasione ed elusione fiscale (stimate tra i 200 e i 300 miliardi di € l'anno), ridurre i costi della politica (cioè dei soldi pubblici che vengono deviati agli apparati e ai "gruppi economici" a loro vicini, ormai stimati, prudentemente, in svariate decine di miliardi di € l'anno), e tagliare su spese pubbliche chiaramente inaccettabili, inutili, e/o dannose (con relativi giri di "costi della politica") quali ad esempio Protezione Civile SPA e, soprattutto, Difesa SPA. Per quest'ultima parliamo di una spesa pubblica annua pari a 32 miliardi di € contro un bilancio per l'intero comparto universitario di soli 6 miliardi di € (dopo i tagli Tremonti). E' incredibile che un "economista" come Ichino rifiuti di entrare nel concreto dei numeri e delle quantità, scendendo dal cielo degli slogan ideologici pseudo-liberisti e pseudo-liberali.
Veniamo ora al punto centrale della discussione tasse vs. spesa pubblica per l'Università: l'impressione di fondo in tutto questo dibattito è che Ichino e i suoi accoliti continuino a fare finta di non capire il fatto di base, semplicissimo e ovvio, che lo studio universitario e la preparazione che esso fornisce per vivere e operare in società, non sono un investimento INDIVIDUALE, bensì COLLETTIVO: se diventerò fisico e contribuirò a portare avanti la conoscenza, sarà la società nel suo complesso a beneficiarne, sarà un servizio pubblico reso alla collettività. Stesso discorso se diventerò medico, giudice, meteorologo, ingegnere. Ecco perché è giusto e sacrosanto che, come in tutti i paesi più civili e avanzati, il finanziamento dell'Università sia pubblico e reperito attraverso la fiscalità generale, e non attraverso assurde e vergognose tasse universitarie imposte ad hoc al singolo studente, per giunta, grazie alla situazione italiana, secondo un criterio anti-progressivo da piramide rovesciata, per cui chi è più povero finirebbe, a causa dell'evasione e di altri meccanismi, a pagare di più.
In ogni caso, è necessario opporsi a questo ritorno alla barbarie che vede tutti gli investimenti solo in termini di risultati individuali e non di prestazioni pubbliche, e che spesso è caldeggiato dalle parti più avide e amorali della nazione. Una proposta alternativa seria, di civiltà, oltre che eliminare i tagli al finanziamento ordinario delle Università pubbliche, deve contemplare l'aumento degli incentivi per i ricercatori che vogliono lavorare in Italia (stranieri o italiani di ritorno), e l'eliminazione dei vari modi surrettizi con cui lo Stato italiano finanzia le Unversità private, che devono dimostrare, una volta per tutte, di potersi reggere sulle loro sole gambe. Tutto questo si può fare, e i soldi in più per Università e Ricerca si possono facilmente trovare, è solo una questione di scelta politica, anche considerando, in parallelo, la necessità di ridurre il debito pubblico. E' infatti ovvio che se, poniamo, si taglia del 50% l'assurda spesa per Difesa SPA (siamo al livello di una superpotenza come la Russia!), dei 16 miliardi di € annui risparmiati, ad esempio 10 possono andare in riduzione del debito, e 6 possono andare a università, ricerca, istruzione, sanità, e ambiente. E' solo un esempio, e se ne possono fare moltissimi anni.
E' quindi fondamentale rifiutare la logica, propria di Ichino, dei Bocconiani, e della destra liberista "all'italiana", che se il debito c'è non importa capire come e dove e perché si forma, e cosa si deve fare per ridurlo, tagliando dove e in quali proporzioni. Il debito non è un "noumeno" inconoscibile ai poveri cittadini. Questo è quello che vorrebbero farci credere quelli che, con il trucco delle tre carte, desidererebbero continuare a far sì che vengano versate montagne di soldi pubblici là dove si possono realizzare (grazie ai peggiori intrecci con la politica) enormi profitti privati, e, contemporaneamente, tagliare là dove queste possibilità di profitto non ci sono, ovvero nei servizi fondamentali che lo Stato eroga ai cittadini. Ottenendo, tra l'altro, come risultato accessorio, ma non disprezzabile, di distruggere gli strumenti critici che lo Stato, attraverso l'Istruzione Superiore, mette a disposizione dei cittadini per poter essere consapevoli e poter smascherare, quando si verifichino, eventuali truffe, magari verniciate di furore ideologico liberista.
Infine, come già accennato, sarebbe fondamentale disporre di una riforma che mettesse davvero ordine nel sistema universitario italiano e imponesse, in particolare, degli standard finalmente seri e riconoscibili agli atenei privati. Sarebbe essenziale, in particolare, che non venga più consentito agli atenei privati di essere mono-facoltà (quasi sempre Legge o Economia) con docenti tutti o quasi tutti "prelevati", a contratto, dagli atenei pubblici. Una seria riforma dovrebbe imporre agli atenei privati un lasso di tempo ragionevole, diciamo 5 anni, in cui assumere docenti propri a tempo indeterminato, pagati con risorse proprie, senza gravare più sugli atenei statali con il meccanismo dei contratti e dei congedi, e, contemporaneamente, dotarsi, chessò, almeno di una facoltà di scienze e di una di ingegneria. Solo così potrebbero finalmente dimostrare di poter aspirare a diventare qualcosa di serio, e dissipare l'impressione, che a volte danno, di apparire un grande carrozzone dispensa-"economisti" e dispensa-"legulei" pronti per andare al servizio dei ceti politici ed economici dominanti di turno.
[Post di Fabrizio Illuminati sul nucleare]
[Post di Fabrizio Illuminati sulla decrescita]
Cominciamo dalle ormai ricorrenti osservazioni, di Ichino e di altri, che l'università italiana è autoreferenziale e lontana dai circuiti internazionali di produzione e diffusione della conoscenza. Dunque, l'università italiana è in splendido isolamento, utile a riprodurre solo sé stessa? Andando a vedere nello specifico delle diverse aree disciplinari, sembrerebbe proprio di no, perlomeno nei settori scientifici e tecnico-ingegneristici, dove è costantemente agganciata alle migliori eccellenze internazionali, come dimostrano tutti gli indici quantitativi (a cominciare dagli h-index cumulativi dei nostri ricercatori), che stranamente, guarda un po', l'"economista" Ichino, che dovrebbe essere sensibile ai numeri e ai dati reali, rifiuta costantemente di prendere in considerazione. Sorprendente, no?!? In realtà l'afffermazione di Ichino sembrerebbe contenere una parte di ragione: c'è effettivamente un sottoinsieme delle Università e dei settori di ricerca italiani che è in sofferenza, rispetto agli standard di valutazione internazionali: si tratta, nella maggior parte dei casi, delle facoltà e degli "studi" economici e giuridici, il cui fiore all'occhiello, si fa per dire, dovrebbe essere rappresentato, secondo Ichino, dalla Bocconi e dai Bocconiani, così agganciati al treno internazionale da aver conferito la laurea honoris causa al ministro argentino dell'economia, Cavallo, pochi giorni prima che la sua disastrosa cura liberista "da cavallo" portasse al crollo del governo Menem e dell'economia argentina.
Veniamo ai commenti di Ichino su "fuga dei cervelli" e dintorni. Verissimo che i ricercatori stranieri non vengono in Italia (vengono in pochi, per essere più precisi). Ma in realtà anche qui bisogna analizzare e approfondire, e se ne scoprono subito delle belle. Consideriamo il caso dell'ingegneria e delle scienze "dure", cioè dei settori decisivi affinché una Unviersità possa chiamarsi tale, e il cui avanzamento è cruciale perché un paese possa davvero progredire. Noto, in passim, che Ichino e gli "economisti liberisti" all'italiana, questo fatto, ovvero l'importanza decisiva delle scienze all'interno della dinamica universitaria, lo negano strenuamente, riflettendo in questo la natura estremamente arcaica ed arretrata di parte del mondo imprenditoriale italiano e di buona parte del pensiero economico-giuridico che lo fiancheggia. Dunque, dicevamo che nel campo degli studi scientifico-tecnologici, gli stranieri in Italia vorrebbero venire, eccome. Ma quasi sempre si ritraggono, non appena vengono loro comunicate le tristi realtà del livello di salario che andrebbero a percepire, con gli assegni di ricerca fissati, per legge, ad un lordo massimo di 23.000 € annui, senza la possibilità di incremento, anche per gruppi di ricerca che potrebbero mettere a disposizione un budget superiore con fondi propri al 100% (per esempio ottenuti vincendo competizioni e calls europee). Questo è uno dei tipici "lacci e lacciuoli" contro i quali strepitano sempre Ichino e i liberisti, e uno dei più perniciosi. Ma, guarda caso, quando si tratta di Università Pubblica, Ichino e accoliti non si curano di questi problemi di funzionalità, anzi applaudono al maggior controllo politico e ai maggiori vincoli burocratici imposti dalla "riforma" Gelmini. Buffo eh?!? Se invece di blaterare di tasse cominciassimo a cambiare queste semplici cose, vedremmo come la situazione migliorerebbe prontamente. Ma questo, cioè il buon funzionamento della ricerca universitaria italiana, sembra non appassionare troppo Ichino e la sua compagnia di giro.
Ci sono poi le sgangherate giustificazioni che Ichino porta avanti per "mitigare" il fatto che, secondo tutti gli indici di valutazione possibili, le facoltà economiche e giuridiche italiane sono messe male, e ancora peggio se si vanno a vedere le Università "private" (finanziate generosamente con fondi pubblici attraverso vari meccanismi, più o meno occulti, su cui tornerò più sotto). Ancora una volta, Ichino nega validità a tutti gli indici e gli standard riconosciuti internazionalmente (con notevolissima dose di quel provincialismo che vorrebbe attribuire ai sostenitori dell'Università pubblica di qualità) per andare a citare i soliti studi, in italiano, dei soliti amici della Bocconi e dintorni, pubblicati dalle solite case editrici degli amici degli amici. Abbastanza patetico.
Ma il peggio deve ancora venire. Incredibili infatti sono le affermazioni di Ichino sul fatto che sarebbe inutile o addirittura controproducente recuperare una parte di evasione ed elusione fiscale (stimate tra i 200 e i 300 miliardi di € l'anno), ridurre i costi della politica (cioè dei soldi pubblici che vengono deviati agli apparati e ai "gruppi economici" a loro vicini, ormai stimati, prudentemente, in svariate decine di miliardi di € l'anno), e tagliare su spese pubbliche chiaramente inaccettabili, inutili, e/o dannose (con relativi giri di "costi della politica") quali ad esempio Protezione Civile SPA e, soprattutto, Difesa SPA. Per quest'ultima parliamo di una spesa pubblica annua pari a 32 miliardi di € contro un bilancio per l'intero comparto universitario di soli 6 miliardi di € (dopo i tagli Tremonti). E' incredibile che un "economista" come Ichino rifiuti di entrare nel concreto dei numeri e delle quantità, scendendo dal cielo degli slogan ideologici pseudo-liberisti e pseudo-liberali.
Veniamo ora al punto centrale della discussione tasse vs. spesa pubblica per l'Università: l'impressione di fondo in tutto questo dibattito è che Ichino e i suoi accoliti continuino a fare finta di non capire il fatto di base, semplicissimo e ovvio, che lo studio universitario e la preparazione che esso fornisce per vivere e operare in società, non sono un investimento INDIVIDUALE, bensì COLLETTIVO: se diventerò fisico e contribuirò a portare avanti la conoscenza, sarà la società nel suo complesso a beneficiarne, sarà un servizio pubblico reso alla collettività. Stesso discorso se diventerò medico, giudice, meteorologo, ingegnere. Ecco perché è giusto e sacrosanto che, come in tutti i paesi più civili e avanzati, il finanziamento dell'Università sia pubblico e reperito attraverso la fiscalità generale, e non attraverso assurde e vergognose tasse universitarie imposte ad hoc al singolo studente, per giunta, grazie alla situazione italiana, secondo un criterio anti-progressivo da piramide rovesciata, per cui chi è più povero finirebbe, a causa dell'evasione e di altri meccanismi, a pagare di più.
In ogni caso, è necessario opporsi a questo ritorno alla barbarie che vede tutti gli investimenti solo in termini di risultati individuali e non di prestazioni pubbliche, e che spesso è caldeggiato dalle parti più avide e amorali della nazione. Una proposta alternativa seria, di civiltà, oltre che eliminare i tagli al finanziamento ordinario delle Università pubbliche, deve contemplare l'aumento degli incentivi per i ricercatori che vogliono lavorare in Italia (stranieri o italiani di ritorno), e l'eliminazione dei vari modi surrettizi con cui lo Stato italiano finanzia le Unversità private, che devono dimostrare, una volta per tutte, di potersi reggere sulle loro sole gambe. Tutto questo si può fare, e i soldi in più per Università e Ricerca si possono facilmente trovare, è solo una questione di scelta politica, anche considerando, in parallelo, la necessità di ridurre il debito pubblico. E' infatti ovvio che se, poniamo, si taglia del 50% l'assurda spesa per Difesa SPA (siamo al livello di una superpotenza come la Russia!), dei 16 miliardi di € annui risparmiati, ad esempio 10 possono andare in riduzione del debito, e 6 possono andare a università, ricerca, istruzione, sanità, e ambiente. E' solo un esempio, e se ne possono fare moltissimi anni.
E' quindi fondamentale rifiutare la logica, propria di Ichino, dei Bocconiani, e della destra liberista "all'italiana", che se il debito c'è non importa capire come e dove e perché si forma, e cosa si deve fare per ridurlo, tagliando dove e in quali proporzioni. Il debito non è un "noumeno" inconoscibile ai poveri cittadini. Questo è quello che vorrebbero farci credere quelli che, con il trucco delle tre carte, desidererebbero continuare a far sì che vengano versate montagne di soldi pubblici là dove si possono realizzare (grazie ai peggiori intrecci con la politica) enormi profitti privati, e, contemporaneamente, tagliare là dove queste possibilità di profitto non ci sono, ovvero nei servizi fondamentali che lo Stato eroga ai cittadini. Ottenendo, tra l'altro, come risultato accessorio, ma non disprezzabile, di distruggere gli strumenti critici che lo Stato, attraverso l'Istruzione Superiore, mette a disposizione dei cittadini per poter essere consapevoli e poter smascherare, quando si verifichino, eventuali truffe, magari verniciate di furore ideologico liberista.
Infine, come già accennato, sarebbe fondamentale disporre di una riforma che mettesse davvero ordine nel sistema universitario italiano e imponesse, in particolare, degli standard finalmente seri e riconoscibili agli atenei privati. Sarebbe essenziale, in particolare, che non venga più consentito agli atenei privati di essere mono-facoltà (quasi sempre Legge o Economia) con docenti tutti o quasi tutti "prelevati", a contratto, dagli atenei pubblici. Una seria riforma dovrebbe imporre agli atenei privati un lasso di tempo ragionevole, diciamo 5 anni, in cui assumere docenti propri a tempo indeterminato, pagati con risorse proprie, senza gravare più sugli atenei statali con il meccanismo dei contratti e dei congedi, e, contemporaneamente, dotarsi, chessò, almeno di una facoltà di scienze e di una di ingegneria. Solo così potrebbero finalmente dimostrare di poter aspirare a diventare qualcosa di serio, e dissipare l'impressione, che a volte danno, di apparire un grande carrozzone dispensa-"economisti" e dispensa-"legulei" pronti per andare al servizio dei ceti politici ed economici dominanti di turno.
[Post di Fabrizio Illuminati sul nucleare]
[Post di Fabrizio Illuminati sulla decrescita]
8 commenti:
ma quanta approssimazione:Protezione civile SPA non è poi stata fatta.Difesa:se va a leggersi i dati del peso sul PIL della spesa militare nel nostro paese e quella degli altri grandi paesi europei,vedrà che siamo molto sotto la media.La riduzione dell'evasione non va di certo utilizzate per aumentare la spesa pubblica,ma per ridurre le aliquote e quindi il peso fiscale su chi paga le tasse fino all'ultimo.Abbiamo una spesa/PIL oltre il 50% e una pressione fiscale reale (cioè entrate fiscali rapportate al PIL sommerso)superiore al 50%,che vogliamo fare,aumentare ancora la spesa con eventuali maggiori entrate da recupero di evasione?Il rapporto spesa primaria/PIL va ridotto di 5 punti percenutali nei prossimi 3-4 anni,per arrivare al pareggio e ogni recupero di evasione va utilizzato per riduzioni di aliquote e tassazioni.Ed è pure demagogia dire che si tagli il 50% della spesa militare...suvvia,da un docente universitario mi aspetterei un po' di meglio che le chiacchiere che si fanno al bar.E il bilancio dell'intero comparto universitario,anche dopo i tagli,ammonta comunque a piu' di 7 miliardi...non diciamo fesserie,vada a vedersi il bilancio del MIUR relativo all'università...e la spesa militare italiana non ammonta a 32 mliardi,ma poco piu' di 20 miliardi...di cui almeno 6 sono destinate ai carabinieri e un altra parte a spese generali...le vere spese militari saranno quindi 12-13 miliardi...
http://www.difesa.it/Approfondimenti/Bilancino2010/Documents/40460_8BilancioperMissionieProgrammiEEFF20112013.pdf
da docenti e ricercatori universitari mi aspetterei meno demagogia e piu' precisione...e proprio lei che continuamente fa riferimento sempre in termini sprezzanti per il liberisti,denota la sua ideologia in tutto il suo post...ma a chi vuole prendere in giro?
Gentile anonimo, giro al professor Illuminati il suo commento.
Le faccio comunque notare che ognuno ha a che fare con la propria ideologia, e non sono certo i liberisti ad esserne immuni. La loro specifica ideologia consiste anzi proprio nel considerarsi immuni da ideologia.
I Carabinieri, dalle mie parti, sono militari; detto per inciso è l'unico costo con un ritorno per la collettività, visto che la difesa dei confini è da tempo subappaltata a caro prezzo alla superpotenza che sta dall'altra parte dell'oceano.
La prima parte del commento, sulla tassazione, è condivisibile, quello che non capirò mai è come si fa a parlare di mercato in un paese con un'economia sommersa da record e le mafie più potenti del mondo.
Di quale libero mercato stiamo parlando?
temo che gli anonimi diventino innumerevoli... Sarebbe troppo chiedere a ciascun gentile Anonimo di contraddistinguersi almeno con una iniziale?
Poi, torniamo alle spese: le spese sono tantissime e non sono tutte uguali, per qualità, quantità, e ricadute. Lo abbiamo già visto con gli esempi discussi sopra. Bisogna quindi aumentare o non tagliare le spese utili (dove utile non si riduce all'utile economico, ma è molto più fondamentale) al paese, e bisogna invece tagliare certi tipi di spese, che sono molto chiaramente identificabili, molto dannose e/o inutili e/o improduttive, come le spese per le "grandi opere", le spese della politica camuffate come contributi alle imprese (tramite SPA e partecipate e finte privatizzazioni), le spese che sono ipertrofiche rispetto alle reali esigenze di sicurezza del paese (come le spese militari) e così via (dovrei scrivere un post a parte su questo).
Non vanno assolutamente tagliate le spese produttive, di grandi ricadute, presenti e soprattutto future, che servono a far rimanere l'Italia un paese civile e a farlo tendenzialmente diventare più civile e avanzato. Queste spese sono quelle per i servizi collettivi fondamentali, tra cui l'istruzione, la cultura, e la creazione e trasmissione del sapere e della conoscenza (Università e Ricerca). Per queste cose spendiamo molto meno degli altri grandi paesi europei in percentuale del PIL, e non mi sembra proprio demagogia sostenere che possiamo fare meglio, tagliando altre spese improduttive o ipetrofiche, recuperando evasione ed elusione, risparmiando sui costi della politica, eccetera eccetera.
E ancora. A casa mia, sia che siano 6.5, sia che siano 7.0, i miliardi di euro l'anno che vengono destinati dalla fiscalità generale per l'intero comparto universitario e della ricerca sono davvero parva res, davvero una miseria: a casa mia 7/1500 fa lo 0,47% di spesa per università e ricerca rispetto al PIL, che è una cosa SCANDALOSA per un grande e civile paese, anzi per qualsiasi paese (vada a vedersi le statistiche). E tagliarle ancora, a cosa servirebbe, dal punto di vista della riduzione del debito? A nulla, chiaramente. Quindi l'attacco liberista all'università si configura, nuovamente, come un attacco ideologico, non basato su una esigenza fattuale. Mi vorrà inoltre gentilmente spiegare perché invece dare pochi soldi e strumentazioni in più ai bravissimi ricercatori italiani, e assumere quelle poche migliaia di eccezionali precari che ogni giorno si dedicano a questo paese con ricerche di grande livello, sia un danno o un'attività non produttiva per il nostro paese. E che cosa guadagnerà il paese dai tagli indiscriminati alla ricerca, all'università, e all'istruzione, dove lavora una buona parte di quella comunità che crede ancora nel progresso collettivo di questo paese. Grazie.
D'accordissimo poi con il secondo Anonimo che giustamente ha notato come la "difesa" dei nostri confini sia da tempo sub-appaltata a un aquilotto che ce la fa ripagare salata, con le "missioni", e con gli acquisti (tangentati) di fantastici aerei fantasma dai modici prezzi (vedi tutta la vicenda F-35 e portaerei Cavour). Anche sulla tassazione siamo d'accordo: si applicano analisi di principio valide per l'Iperuraneo, prescindendo completamente dalla realtà dell'Italia (evasione, elusione, corruzione/costi della politica, peso della criminalità organizzata). Io credo che i sostenitori di queste ridicole "terapie" che finirebbero di distruggere il paese si possano dividere in sciocchi in buona fede, diciamo "brainwashed" dalla propaganda (i don Ferrante della situazione), e poi quelli che la cosa la capiscono benissimo ma si sono fatti quattro conti personali (temo purtroppo siano la maggioranza).
Caro Anonimo,
Innanzitutto, i finanziamenti delle opere per i grandi eventi, comprese quelle realizzate in siti poi non utilizzati (ma ugualmente pagate dalla collettività), come nel caso del G8 della Maddalena poi trasferito all'Aquila, sono stati surrettiziamente "appoggiati" sul bilancio della protezione civile, con Bertolaso commissario straordinario (come saprà), e con una interpretazione molto estensiva del concetto di protezione civile stessa, che è andata, appunto, a coprire molte spese per più o meno "grandi" eventi o infrastrutture. Questo sistema nei fatti era già Protezione Civile SPA, e il progetto non ha avuto il suo coronamento finale, come saprà, solo a causa di certe inchieste giudiziarie in corso.
Andiamo avanti. Secondo tutte le classifiche internazionali, l'Italia, a seconda dei computi, si colloca tra il settimo e l'ottavo posto al mondo per spesa militare. Il dato aggregato finale per il 2009, l'ultimo che ho disponibile, parla di una spesa complessiva di 24 miliardi annui. Veda ad esempio qui: http://www.notiziegenova.altervista.org/index.php/economia/1304-italia-il-costo-esorbirante-della-spesa-militare-tocca-un-record-storico
Mi dia dati diversi, e sarò lieto di discuterne. L'argomento sui carabinieri è risibile: sono militari, punto a basta. Seguendo questa logica per l'Università, potrei dire che non bisogna contare i fisici, perché quelli sono utili e bravi. Come saprà, poi, i nostri carabinieri sono in questo momento, tra l'altro, in Kosovo, Afghanistan, Libano. E non da ieri. Mi vorrà gentilmente spiegare se sono lì per controllare che le signore per bene non vengano scippate a Roccacannuccia o a Canicattì.
Se poi sommiamo i costi annui "straordinari", che vanno rifinanziati ogni anno, delle missioni, dall'Iraq all'Afghanistan al Kosovo alla Somalia al Libano, al bilancio "ordinario" di 24 miliardi, temo che la mia stima di circa 30 miliardi vada a finire sotto per difetto.
E ancora. Mi vergogno un po' a farglielo osservare, ma se lei usa l'argomento che le spese militari italiane sono sotto la media europea (anche se abbiamo appena visto che non è vero) come motivo per cui non si possono tagliare, allora, seguendo la sua logica, dobbiamo concludere che non solo la spesa italiana per la ricerca e l'università non si può tagliare, visto che non solo è al di sotto della media europea, ma lo è di brutto, ma, casomai, dovrebbe essere solo aumentata. E questo è un dato certo, certissimo, a differenza di quello da lei sostenuto per le spese militari.
Lei dice poi che il rapporto Spesa/PIL è oltre il 50%. A parte che non si capisce bene a cosa lei si riferisca, il dato sicuro è che abbiamo un debito consolidato di circa 1800 miliardi di euro, una cifra vicina al 120% del PIL annuo. Lei cita una pressione fiscale reale oltre il 50% (immagino che lei sommi parte puramente fiscale e parte sanitario-previdenziale). Peccato che questo dato riguardi solo chi le tasse e i contributi li paga davvero e tutti, alla fonte, cioè i lavoratori dipendenti, pubblici e privati. Non vale certo per gli altri, altrimenti non avremmo un'evasione fiscale annua stimata tra 200 e 300 miliardi di euro.
Quindi, prima di tagliare le tasse sui redditi, bisogna evidentemente recuperare almeno una parte di evasione, che deve servire anche a finanziare in parte il risanamento del debito, per tacere poi della necessità di introdurre una tassazione sulle rendite parassitarie, altro argomento che è stranamente tabù per i nostri liberisti del "fare" e del "produrre", visto che siamo gli unici in Europa a non contemplare un tale tipo di tassazione.
Posta un commento