E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

martedì 15 novembre 2011

Infanzia, 1. Robot

È un bambino che piange spesso, e si sente debole per questo. Una volta, la bambina che lui ama gli dice che quando piange “sembra un robot”. Questa frase, apparentemente detta senza cattiveria, lo ferisce profondamente e inizia in lui una storia ricca di conseguenze interiori. Quando la bambina ripeterà l'osservazione a distanza di tempo, lui sentirà di non avere per nulla guarito la ferita, e capirà di essere indifeso come la prima volta.
Nel paesino in cui vive, tutti i bambini guardano i cartoni animati degli uforobot. Ne vanno tutti pazzi, anche i bambini più grandi che li vedono per la prima volta, e i giochi infantili ne risentono, si modellano su quei grandi soldati metallici dalle armi letali, esagerate. Un giorno, mentre lui contempla rapito la vetrina dell'unico negozio di giocattoli del paese, un altro bambino, che sta contemplando non meno di lui, lo attacca sul piano morale, forse istruito da genitori conservatori o catechisti bigotti. Quel bambino gli dice che “loro” sarebbero diventati pazzi a furia di guardare i cartoni animati degli uforobot. La cosa lo colpisce molto, si domanda se l'altro bambino non abbia ragione, anche se la cattiveria con cui glielo ha detto gli puzza subito di moralismo impartito dall'alto, senza un'autonoma valutazione delle giuste ragioni della cosa. Lo insospettisce soprattutto l'uso del termine “voi” per ostentare un contrasto. Capisce che quel pronome contiene una generalizzazione necessariamente falsa e ingiusta.
Perciò, quando la bambina che lui ama gli dice che sembra un robot quando piange, lui si sente riempire di una strana vergogna mai provata prima. Si sente cristallizzato in una figura piatta, identificato con un misterioso Altro, a lui ignoto ma apparentemente evidente agli occhi della bambina. L'offesa è così grande e per lui insopportabile che si domanda se il suo amore per la bambina non debba essere considerato ormai terminato. Come può amare ancora chi lo offende tanto, e tanto ingiustamente?

I suoi giocattoli preferiti sono i robot e ne possiede alcuni. Talvolta ci gioca con gli altri bambini del paese, anche se gli appare presto chiaro di essere considerato una specie di fortunato possidente, dato il numero dei suoi giocattoli. Una volta gioca con un suo compagno di scuola, e alla fine del pomeriggio i due bambini si scambiano i robot, con l'accordo di restituirseli dopo un paio di giorni. Sembra un modo semplice per poter godere brevemente delle delizie di un bene altrui e in parte ignoto. Allo scadere del prestito reciproco, l'altro bambino gli rivela, scusandosi ma discolpandosi, di avere rotto un braccio al suo robot, non si sa come. Lui non riesce a capacitarsene, è disperato, non doveva fidarsi e lo sapeva fin dall'inizio. Lui non avrebbe potuto rompere il robot dell'altro bambino, mai e poi mai. Come avrebbe ora potuto tollerare che il suo robot preferito fosse amputato di un braccio? Se i robot devono essere invincibili non possono essere monchi di un braccio, si capisce subito che la cosa non funziona più.
Decide di trattenere il robot del suo compagno come risarcimento, anche se vorrebbe riavere il suo robot nuovo. Sa benissimo che i giocattoli sono prodotti all'infinito e che ci saranno per sempre nuovi robot uguali al suo. Basterebbe dunque che la mamma dell'altro bambino glielo ricomprasse e tutto sarebbe risolto. Chiede a sua madre di intervenire, ma non capisce bene l'esito della discussione tra i genitori. Gli sembra che si risolva in un amichevole nulla di fatto. Lui rimane con il robot dell'altro bambino, che è anche bello, ma fin dall'inizio privo di qualche pezzo, e comunque di qualità più scadente. Il suo robot era di metallo pesante, con piccoli pezzi scorrevoli e un complicato meccanismo per passare dalla posizione di volo alla posizione di combattimento. L'altro robot invece ha parti in plastica leggera, che invece dovrebbero essere di metallo pesante, è un robot più scadente, anche se nei cartoni animati è forte quanto l'altro se non di più. Ma il suo robot ha una cosa che lo riempie di orgoglio: una testolina retrattile minuta e squadrata che viene ricoperta da un elmo rosso, l'astronave del pilota, quando il robot è in posizione di combattimento. Quella testolina con un visino umanoide perfettamente cesellato lo riempie di tenerezza: privata dell'elemo sembra mostrare una debolezza che è solo apparente. Gli sembra un controsenso, che un robot tanto potente abbia una testolina così piccola, ma in fondo i robot non sono umani, non devono pensare, ed è un controsenso che gli piace.
L'altro bambino non vuole il robot con il braccio rotto, ma lui è inflessibile: non si dice forse che chi rompe paga e i cocci sono suoi? In questo caso il pagamento consiste nell'appropriazione del robot superstite, seppure di qualità inferiore, e il bambino che l'ha rotto potrà ingegnarsi come meglio crede per tentare di riaggiustare il braccio del robot irriscattabile, privato di tutto il suo pregio agli occhi del precedente proprietario. Forse lui pensa che se non riuscirà ad aggiustarlo in nessun modo la punizione sarà completa.
Alla fine, insiste talmente tanto con sua madre per avere un altro robot identico a quello rotto che ne ottiene una seconda copia. Si accorge che tutto il procedimento ha proiettato un'ombra sul suo possesso del nuovo robot (sarà davvero uguale in tutto e per tutto?) oltre a quello confiscato, ma ottiene facilmente di scacciare il pensiero di quella macchia. In fondo, ora lui possiede due robot.

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