E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

lunedì 13 maggio 2013

Intervista a Houellebecq, 3


Devo riconoscere che non ho voglia che il desiderio si spenga in me, il che… non è molto buddhista... 
Michel Houellebecq

Marx 2.0

La forza materiale deve essere abbattuta per mezzo della forza materiale, ma la comunicazione diventa, essa pure, una forza materiale, quando s'impadronisce delle masse.

sabato 4 maggio 2013

Paul Ricoeur: ricordare - la Shoah (2004, mio articolo mai pubblicato su L'Unità)


Nel vasto affresco teorico La memoria, la storia, l’oblio, pubblicato in Italia nel 2003, Paul Ricoeur ha affrontato le molteplici pieghe filosofiche del concetto di memoria, prestando particolare cura alle sue implicazioni psicologiche, storiche e politiche. Il filosofo francese fornisce una fenomenologia della memoria anche nell’intento di proteggerne il concetto dagli “abusi”, riducibili fondamentalmente a tre tipi: “impedimenti” di tipo patologico-terapeutico (dominio della psicoanalisi), “manipolazioni” di tipo pratico (dominio della retorica), “costrizioni” di tipo etico-politico. Per ognuna di queste distorsioni o incidenti della memoria Ricoeur propone un antidoto analitico cercando un giusto equilibrio riflessivo tra ciò che la memoria può e non può, deve e non deve essere. 
Da sofisticato ‘interprete’ della psicoanalisi qual è, Ricoeur vede nella teoria psicoanalitica lo spazio per parlare anche di collettività, estendendo «l’analisi freudiana del lutto al traumatismo dell’identità collettiva. Si può parlare (...) di traumatismi collettivi, di ferite della memoria collettiva». Benché Ricoeur consideri la memoria collettiva “il terreno di radicamento della storiografia”, per la filosofia fenomenologica fondata sulla coscienza trascendentale è problematico il concetto stesso di un ricordo non personale ma collettivo, come quello che si ritrova alla base della commemorazione degli eventi storici. Nella storia della filosofia, da Sant’Agostino a Husserl, la memoria è innanzitutto individuale, introspettiva. In effetti, com’è possibile fondare sulla dimensione interiore un ricordo condiviso da una comunità?
Le difficoltà del concetto di memoria collettiva sono affrontate da Ricoeur attraverso l’analisi dell’opera del sociologo francese Maurice Halbwachs*, La Mémoire collective, (1949) la cui tesi centrale viene così riassunta: per ricordarsi, si ha bisogno degli altri. Non si dà mai quello che potremmo chiamare un solipsismo mnestico: «È a partire da un’analisi sottile dell’esperienza individuale di appartenenza a un gruppo, e sulla base dell’insegnamento ricevuto dagli altri, che la memoria individuale prende possesso di se stessa». Come scriveva Halbwachs «ci si ricorda solo a condizione di porsi dal punto di vista di uno o più gruppi e di ricollocarsi in una o più correnti di pensiero», o, come chiosa Ricoeur: «Non ci si ricorda da soli». E tuttavia, a differenza che per Halbwachs, siamo sempre «noi» ad essere i soggetti autentici dell’attribuzione dei ricordi, e la subordinazione - o piuttosto coordinazione - della coscienza individuale all’insieme sociale non significa la sua scomparsa.
Se la facoltà della memoria ha un suo regime funzionale naturale ed è spontanea recettività, non si potrà allora ingiungerla, pena la distruzione della sua stessa essenza e il dar vita al “paradosso grammaticale” formulabile come «tu ti ricorderai», che richiama la struttura della contraddizione performativa (double bind), esemplificata dal paralizzante «sii libero!».
La contraddizione viene risolta attraverso l’idea di giustizia, che estrae il valore esemplare degli eventi storici e volge la memoria in progetto che dà forma di futuro e di imperativo al dovere di memoria. Dovere di memoria è propriamente il dovere di rendere giustizia a un ‘altro da sé’ attraverso il ricordo: entra in scena la nozione di “debito”, consistente nell’essere obbligati verso quegli altri che sono stati. Bisogna riconoscere priorità morale alle vittime perché la vittima è l’‘altro’, il cui riconoscimento, specialmente nella forma del Sé come un altro costituisce il fondamento stesso dell’etica, per Ricoeur, Lévinas, Derrida e in generale tutti i filosofi francesi “della Differenza”.
Su questa base un capitolo del tutto particolare della nostra memoria collettiva è quello relativo alla Shoah, l’evento negativo centrale della storia dell’Occidente che ne risulta spaccata in due (è stato Adorno a dire che dopo Auschwitz la cultura è spazzatura). Ricoeur affronta il tema ripercorrendo il dibattito che ha avuto luogo in Germania a partire dal 1986 dando vita alla cosiddetta “controversia degli storici” (Historikerstreit) che mise la questione del revisionismo storico al centro del discorso pubblico, rendendo noto il nome di Ernst Nolte. Le tre “regole del revisionismo” che, come disse Jürgen Habermas intervenendo nell’Historikerstreit, paiono altrettanti pretesti per «liquidare i danni» sono indicate da Ricoeur nell’«allargamento temporale del contesto, comparazione con fatti simili contemporanei o anteriori, relazione di causalità da originale a copia», procedimenti retorici volti a svalutare la singolarità del fenomeno Shoah; per spiegare come sia potuto accadere il genocidio degli ebrei «Nolte non esita (…) a evocare in fine la dichiarazione di Chaïm Weizmann che chiamava gli ebrei del mondo intero a lottare a fianco dell’Inghilterra nel settembre 1939» per concludere insomma che «quel che si chiama lo sterminio degli ebrei perpetrato durante il Terzo Reich è stato una reazione, una copia deformata e non una prima o un originale». L’obiettivo di Ricoeur è dunque salvaguardare la specificità storiografica della Shoah, sequenza narrativa causale contingente nella sua singolarità, e la responsabilità morale che questa comporta, riconoscendo la priorità filosofica della coscienza individuale.
Così Ricoeur puntella il cammino di un autentico impegno storiografico, scientifico, intellettuale e civile, prendendo le distanze dall’ipostatizzazione del male assoluto e dai suoi usi e abusi. Perché non è affatto detto che limitarsi a chiedere perdono in nome di una collettività su cui ricadrebbe genericamente una colpa produca poi le auspicabili conseguenze pratiche, politiche e individualmente morali.


*Nota 3/12/2013: scopro soltanto adesso, a distanza di anni da questo pezzetto, che il figlio di Halbwachs (non Halbwachs padre, come avevo inizialmente creduto per una svista segnalatami da Antonio Vigilante, che ringrazio) fu il mentore del giovane Deleuze. Lo introdusse "alla lettura di Baudelaire, Valery, Gide facendogli anche conoscere una realtà, quella della cultura e dell’impegno politico, a lui estranea fino a quel momento. Sarà lo stesso Deleuze, dopo molti anni, a dichiarare: «È allora che ho smesso di essere un idiota»; prima di quell’incontro, infatti, non era che un ragazzino mediocre a scuola e privo di interessi."

Nota 28/01/2014: lavorando su mito e scienze cognitive, trovo in Boyer, Tradition as truth and communication, queste righe: "There is a third alternative, that of a Durkheimian 'collective memory' (see Halbwachs 1925, and Douglas 1982). Although the conceptual frameworks are entirely different, the ideas put forward in this section are consistent with at least one of Halbwachs points, namely that social interaction need not be totally represented to be reproduced. The idea of'collective memory', however, entails a ' superorganic' view of culture which is precisely what I am trying to avoid in the characterisation of tradition."

giovedì 2 maggio 2013

Appunti 130502 (Sperber e la politica)

Sperber e l'utopismo razionale, in Des idées qui viennent.
Pagine del 1999 piene di spunti interessanti, le ho lette per la prima volta soltanto una settimana fa, questo libro lo avevo trascurato in gran parte.
Ho chiesto a Sperber di tradurle per un seminario politico sulla comunicazione e lui mi ha informato della pubblicazione online dei suoi capitoli (il libro è scritto a quattro mani con Roger Pol-Droit: filosofo non ininteressante ma decisamente meno originale e rigoroso di Dan. Non sono però da trascurare le parti di discussione tra un capitolo e l'altro, dove spesso Sperber risponde in maniera illuminante a domande un po' banali).

L'interesse maggiore di queste pagine risiede (per me) nel misto tipicamente sperberiano di rigore, empirismo e radicalità. Non per nulla Dan è una specie di allievo di Chomsky, oltre che di Lévy-Strauss...


"De se révolter ? Mais puisque le sentiment de révolte ne débouche plus sur l’action révolutionnaire, ne vaut-il pas mieux se cantonner à des objectifs modestes qui se réalisent non pas par la révolte, mais par un travail tranquille et patient ? Cette sagesse là ne me convainc pas.
...
J’insiste sur le réalisme de l’imagination et sur le bon escient de la révolte, sans lesquels leur exercice tourne facilement à la catastrophe.
...
De ce point de vue, le défaut du socialisme de Marx et Engels était d’être, non pas scientifique, mais scientiste, invoquant une science pourtant balbutiante – qu’eux-mêmes contribuaient à améliorer – comme source de certitude et d’autorité.
...
Il se produit sous nos yeux une transformation technologique, sociale et politique que l’on peut décrire en disant qu’à l’âge industriel est en train de succéder un « âge de l’information »  (c’est d’ailleurs le titre d’un important ouvrage du sociologue Manuel Castells où il analyse et documente en profondeur cette transition[1]). Or je voudrais soutenir que cette transformation redonne une certaine actualité à une version évidemment transformée du communisme utopique."

PRIMO COMMENTO: bisognerebe poter valutare politicamente la parte perlocutoria dell'informazione scambiata in Rete.


[da continuare]

martedì 30 aprile 2013

Intervista a Houellebecq, 2


Per esempio il teorema di Gödel una volta l'ho capito, ma penso che non saprei più farne la dimostrazione.
Michel Houellebecq 

lunedì 29 aprile 2013

Intervista a Houellebecq, 1


Deleuze è piuttosto un buon poeta, a tratti; Derrida è un poeta di merda.
Michel Houellebecq

domenica 21 aprile 2013

Dare la colpa a Rodotà

Civati ha spiegato che Rodotà non era eleggibile: lo ha spiegato come se si trattasse di una legge fisica, stupidi coloro che pensano di potervisi opporre. "Rodotà non ha i voti, in quell’aula. Se il Pd non ha votato Prodi, è un po’ difficile immaginare che voti Rodotà. Perché c’è una parte del Pd che non guarda al M5S ma a destra."
I numeri dunque non c'erano perché una parte del PD non avrebbe MAI votato per Rodotà. E' una questione di fatto, non ci si poteva fare nulla così come non si può cambiare il corso del sole: una parte del PD guarda a destra, non a sinistra. E Rodotà è di sinistra (Napolitano e Prodi, evidentemente no).
Se prendiamo per buona questa spiegazione, rinunciamo a domandare PERCHÉ MAI sia legittimo che una parte del PD non fosse disposta a votare Rodotà, per altro non dissimile dalla parte che non è stata disposta a votare neanche Prodi (quindi destra/sinistra non spiega tutto, perché se bisognava intercettare i voti della parte del PD che guarda a destra, e se Prodi è di destra, li si sarebbe dovuti intercettare, mentre cioò non è successo).
Partendo dalle premesse di Civati, comunque, mi pare che l'unica cosa razionale da fare fosse questa: siccome Grillo aveva detto che avrebbe votato Prodi (risultato al penultimo posto nelle quirinarie del M5s) solo se Rodotà avesse rinunciato, BISOGNAVA CERCARE DI CONVINCERE RODOTÀ A RINUNCIARE PRIMA DEL QUARTO SCRUTINIO, e convergere su Prodi insieme al M5s.
Rodotà li avrebbe mandati affanculo, ma a quel punto avrebbero potuto dare tutta la colpa a lui. E' un'astuzia di cui non mi sarei privato, se avessi avuto la mala ventura di essere un geniale stratega di questo bel PD.

venerdì 19 aprile 2013

Appunti130419 (Russell e la forma logica)

Anche Russell dovrebbe essere inserito nella "scuola del sospetto" (Ricoeur), insieme a Marx, Nietzsche e Freud: la scoperta della forma logica introduce infatti il sospetto che il linguaggio ci ci inganni.

venerdì 12 aprile 2013

Il bombarolo cucina benissimo

Ho cercato un bar ignoto vicino alla scuola: trovato, era deserto.
Il disco di De Gregori in sottofondo mi ha fatto intuire che il gestore non fosse un fascista. Leggendo il Manifesto durante il pranzo, sentivo un crescente cenno di commozione per avere scovato uno dei rari luoghi in cui l'idea comunista - come direbbe Badiou - sembrasse trovare ancora soggetti fedeli.
Alla fine del pranzo ho chiacchierato un po'. Il compagno cuoco è disperato e incazzato per una vita "sprecata", in lavoro sforzi ideali soldi, e si dice pronto a mettere le bombe perché le cose cambino. Quando i due anziani esodati si sono suicidati alcuni giorni or sono, la madre gli ha telefonato per raccomandargli di non compiere gesti inconsulti.
Ho provato a dirgli che con le bombe ci hanno già provato senza ottenere grandi risultati (non sono stato a sottilizzare sul fatto che le bombe italiane sono fasciste o mafiose).

Ho deciso che tornerò sempre a pranzare da costui per convincerlo a non cedere alla rabbia. Tra l'altro sua moglie cucina benissimo.

mercoledì 10 aprile 2013

Appunti 130410


I miei allievi sono più computazionalisti di me. Oggi, in quarta, ... mi ha rivelato che per comprendere la filosofia di Kant si è immaginata che le strutture del soggetto trascendentale siano il codice di un programma, mentre il fenomeno corrisponderebbe a ciò che il programma permette di visualizzare sullo schermo.
Non avevo mai pensato a un computer kantiano, anche se da anni avevo scovato il kantismo di molti cognitivisti (conosco poco l'AI, molto meno della psicologia cognitiva).
Ho trovato interessante questa idea (da perfezionare aggiungendo al computer degli organi di senso, una telecamera e dei microfoni).
Perciò da oggi tutta la classe lavorerà a casa per sviluppare l'esempio: “Kant9000: il soggetto trascendentale visto come computer”.

Vediamo se l'analogia permetterà loro di comprendere meglio Fichte.

lunedì 8 aprile 2013

Appunti 130408

Leggendo Badiou, L'hypotèse communiste. L'Idea comunista è operativa quando una verità sia una "sequenza politica emancipativa".
Problema: lascia indefinito "emancipativo", che se inteso come "ciò che produce libertà" è un concetto troppo vago per essere universale. Non mi risulta che Badiou si sia cimentato con l'idea di libertà, verificare.

sabato 6 aprile 2013

Agostino e la morte

- non si dice quella parola!
- certe volte si dice: tuo nonno Roberto è morto
- non c'è più?
- no, non c'è più, perché non si è curato
- ma può curarsi adesso
- no, adesso è troppo tardi
- adesso è notte dove sta lui?
- (ridendo) sì, è proprio notte, dove sta lui
- ma è lontano da qui?
- sì, in un altro mondo

Sul romanzo, 1

Scrivere un romanzo sentimentale, in Italia, oggi, è una delle peggiori forme di vigliaccheria che mi vengano in mente.

giovedì 28 marzo 2013

Poemìa


Moltiplicami il tempo per mille
voglio leggere non un libro ma mille
diecimila, un milione di parole scritte
perfette, pensate e sublimi,
non voglio fermarmi per respirare
mai più, voglio leggere per sempre.

Quando sarò morto, i libri me li leggerai tu.

sabato 23 marzo 2013

Ancora sulle ineffettuali categorie destra/sinistra

vedi perché non ci capiamo, caro amico intellettuale di sinistra? Tu dici che non capisci come io possa sostenere che l'opposizione destra/sinistra sia stata neutralizzata e inizi a farmi un elenco di cose di sinistra, come essere NoTav ecc. poi però voti per un partito alleato col partito più proTav che ci sia, che quindi secondo la tua definizione dovrebbe essere di destra anche se si dice di sinistra, mentre il M5s risulterebbe automaticamente di sinistra, e sostanzialmente mi dici che voti a destra perché vuoi spostare a sinistra il Partito di Destra...
Poi - contraddicendomi - io ti dico che il pareggio di bilancio in Costituzione è di destra e tu mi dici che anche Hollande lo ha difeso, come se questo bastasse a decidere che cosa è di destra e che cosa di sinistra. Come se per definire l'arte dicessimo che è ciò che fanno gli artisti (ammesso e non concesso che Hollande sia "di sinistra").
Ma allora non è meglio fare come dico io, coltivare una propria distinzione antropologica tra destra e sinistra con valore euristico, e parlare piuttosto delle azioni concrete lasciando perdere i discorsi ineffettuali su destra/sinistra?
Che poi non mi pare che nella prospettiva biopolitica ci sia molto spazio per questa consunta dicotomia, storicamente determinata e assolutamente non elevabile a categoria antropologica universale (Pericle era di sinistra? Platone di destra? Kant? Stalin? Gorbacev? L'omofobia di Che Guevara? Clinton? Craxi? Renzi?).

***

Aggiornamento 7 dicembre 2013 (il giorno prima della vittoria alle primarie di Matteo Renzi e della definitiva sconfitta della fallimentare "sinistra" PD bersaniana).
Dopo la morte di Costanzo Preve ho scoperto la sua vasta opera, di cui mi riprometto di leggere il più possibile.
Qui Preve spiega la sua posizione su destra/sinistra: http://www.kelebekler.com/occ/prevedxsx.htm

giovedì 21 marzo 2013

Un amico siciliano, storico della mafia, spiega le dichiarazioni di Borsellino su Grasso

Borsellino va compreso: da anni lotta per l'affermazione di una verità che stenta a farsi luce.Per ciò che attiene a Grasso, il suo merito è stato quello di essere riuscito a "normalizzare" la Procura di Palermo, strappandola agli "estremismi" precedenti e restituendola alla gestione storica dell'obbedienza ai colletti bianchi che comandano.Dopo aver mandato i suoi primi messaggi d'intesa a Miccichè e Dell'Utri (che era stato il suo allenatore nella squadra di calcio "Bacigaluppo"),ha ricevuto, poi,da questi personaggi e dai loro accoliti, apprezzamenti ed encomi, per essere riuscito ad attuare una epurazione della Procura (fu definito "un generale senza esercito") su mandato politico. Si è sempre scontrato con molti uffici della sua stessa Procura, che hanno costantemente denunziato il clima di sofisticato attendismo del procuratore Grasso quando si è imbattuto nelle inchieste su mafia e politica. Grasso, da una parte (in sede di convegni, seminari, tavole rotonde, interviste, etc.), si mostrava un continuatore della linea della lotta alla mafia; dall'altra parte dimostrava di realizzare, in termini di apertura di inchieste,una capacità d'incidenza sulla realtà criminale molto meno efficace di quanto non annunziato a parole. L'eccesso di prudenza, l'eterno temporeggiare, l'insabbiamento nel tentativo di esorcizzare la gestione caselliana: sono questi gli elementi più significativi della sua azione, quelli che hanno determinato gli apprezzamenti e gli encomi del centro destra (poi ricambiati). Grasso ha costantemente evitato, per principio, di portare a processo gli uomini politici e i colletti bianchi.A dimostrazione di quanto detto, vanno ricordati: il caso Cuffaro e la relativa derubricazione; il caso del pentito Antonio Giuffrè (doveva essere un altro Buscetta!); il caso del "finto pentito" Pino Lipari; lo scontro con Ingroia sul delitto Rostagno; i ripetuti scontri con Ingroia, Natoli, Lo Forte e Scarpinato (in questo ultimo caso Grasso è stato sostenuto da "Il Giornale", "Il Foglio", "Panorama", "Il Velino", l'avv.to Fragalà di AN). Per conclkudere, Grasso è stato il più efficace strumento della controriforma berlusconiana dell'ordinamento giudiziario:la trasformazione della Procura in una monarchia assoluta,sotto il comando di una casta di procuratori graditi al governo, onde evitare che affari scottanti e personaggi intoccabili finissero in mano a magistrati "mentalmente disturbati", "antropologicamente diversi dal resto della razza umana". "Obbedire e far carriera" s'è sostituito a "La legge è uguale per tutti"....
L'accostamento di Grasso a Dell'Utri non nasconde alcun intendimento malizioso, ma vuol significare come, a volte, l'allievo non riesca a trarre profitto dagli insegnamenti del maestro: per qualsiasi buon allenatore, infatti, vale il principio per cui squadra che vince non si cambia; e Grasso, invece, la sua, da lui stesso definita "straordinaria", l'ha smantellata poco alla volta. Dopo aver dichiarato, infatti: "...Da Caselli ho ereditato una squadra straordinaria, e non solo sul fronte dell'antimafia..." ("la Repubblica", 6 febbraio 2000), i suoi primi pensieri e le sue prime azioni sono stati indirizzati verso la emarginazione di tutti i pm più vicini a Caselli e, prima ancora, a Falcone e Borsellino. Uno dei primi ad accorgersi, con soddisfazione, della trasformazione della Procura, fu Lino Jannuzzi, che scriverà: "...Grasso ha avocato ogni decisione sulle inchieste, soprattutto quelle riguardanti mafia e politica, in cui sono impegnati Ingroia, Principato e Scarpinato..." ("il Velino", 26 gennaio 2000). E Scarpinato scriverà:"...Tutti quei magistrati che nella Procura di Caselli avevano condotto le inchieste più delicate su mafia e politica...vengono progressivamente estromessi dalle indagini. ..Un suicidio della memoria storica dell'Antimafia... (R.Scarpinato, "La storia. Italia mafiosa e Italia civile", in "MicroMega,4/2004). Al termine della epurazione, in Procura ritorna Pignatone, il fedelissimo di Giammanco (su quest'ultimo, v. nei diari di Falcone), coi gradi di Procuratore aggiunto: egli sarà il braccio destro di Grasso, il suo uomo di fiducia, il depositario di tutti i misteri. Su Pignatone si potrebbe scrivere all'infinito.Durante la sua attività, Grasso riesce ad attrarre su di sè gli elogi e del centrodestra e del c.d. centrosinistra. Eppure, nel corso di convegni e nellle interviste, egli si scaglia contro la politica giudiziaria e antimafia del governo (contro la riforma dei pentiti del governo Amato; contro le riforme del governo Berlusconi), usando toni aspri, parole pesanti. Altri magistrati, per molto meno, sono stati oggetto di interrogazioni parlamentari, insultati ("toghe rosse",sono stati chiamati, per es.), attaccati, proposti per il trasferimento, sottoposti a procedimento disciplinare; Grasso ha, invece, un'amplissima libertà di parola, perchè la magistratura, quando è attaccata, lo è non tanto per ciò che dice, ma per quello che fa. E' l'inizio di quella che sarà l'antimafia parolaia, l'antimafia di facciata, l'antimafia degli annunci. Per concludere, mi pare utile si ponga mente alll'ultima dichiarazione spontanea resa al processo di Palermo, il 29 novembre 2004, da Dell'Utri:..."Il procuratore Grasso, quando era giovane, giocava a calcio nella mia squadra, la Baigalupo, ed era famoso perchè a fine partita usciva sempre pulito dal campo: anche quando c'etra il fango, lui riusciva sempre a non schizzarsi...".

sabato 9 marzo 2013

Fiaba africana, allegoria italiana

Il grillo e il rospo

Se vuoi essere davvero amico di qualcuno, impara ad accettarne i difetti oltre che le qualità.
Il Grillo e il Rospo sembravano buoni amici. Erano sempre insieme. Però non avevano mai cenato l'uno a casa dell'altro. Un giorno il Rospo disse al Grillo: “Caro amico, domani vieni a cena a casa mia. Io e mia moglie prepareremo un pasto speciale. Lo mangeremo insieme."
Il giorno dopo il Grillo arrivò a casa del Rospo. Prima di sedersi a tavola, il Rospo si lavò le zampe e chiese al Grillo di fare lo stesso. Il Grillo si lavò le zampe ed emise un suono acuto.
"Amico Grillo, non puoi smettere di fare quel rumore? Non riesco a mangiare" disse il Rospo.
Il Grillo cercò di mangiare senza sfregare le zampe, ma gli era impossibile. Ogni volta che emetteva un suono, il Rospo si lamentava e gli chiedeva di star zitto. Il Grillo si arrabbiò talmente tanto, che non riuscì a mangiare. Alla fine disse al Rospo: “Ti invito a cena a casa mia domani".
Il giorno dopo il Rospo arrivò alla casa del Grillo. Appena la cena fu pronta, il Grillo si lavò le zampe e chiese al Rospo di fare lo stesso. Il Rospo lo fece e poi saltò fino al cibo.
Faresti meglio a lavarti di nuovo”, disse il Grillo. “Tutto quel saltare ti ha sporcato le zampe.”.
Il Rospo tornò saltellando al secchio con l'acqua, si lavò di nuovo, saltellò verso il tavolo e stava per prendere un pezzo di cibo da uno dei piatti quando il Grillo lo fermò e gli disse: “Per favore, non mettere le zampe sporche nel cibo. Vai a lavartele di nuovo”.
Il Rospo era furioso. “Tu non vuoi che mangi con te!” urlò. “Sai benissimo che uso le zampe per muovermi. Non posso farci niente se si sporcano un po' tra il secchio e la tavola.”.
Il Grillo rispose: “Sei tu quello che ha cominciato, ieri. Sai che non posso sfregare le mie zampe senza emettere un suono."
Da quel giorno non furono più amici.

http://www.expatclic.com/index.php?option=com_content&view=article&id=2160:fiabe-dalla-nigeria&catid=39:i-nostri-articoli-pratici

lunedì 4 marzo 2013

Italiani, ancora uno sforzo per essere rivoluzionari!

SINISTRA

Sconfitta elettoralmente, la sinistra non vuol comprendere le ragioni della sconfitta, e ne rovescia la responsabilità sul nulla, con evanescenti esercizi retorici e un ossessivo richiamo al fascismo. Di questa sconfitta invece, solo la sinistra è responsabile: 1) perché non è riuscita a comprendere la trasformazione sociale che in Italia si era data; e ha continuato a considerare le corporazioni come tramite di rappresentanza; 2) perché non ha controllato, anzi, neppure immaginato, il nuovo assetto produttivo dei rapporti comunicativi; di conseguenza ha intrattenuto un rapporto di uso con i media, partecipando cinicamente e irresponsabilmente alla loro banalizzazione reazionaria; 3) di conseguenza la sinistra ha perduto ogni capacità di rappresentanza dei settori produttivi (materiali e immateriali) della società. oggi in Italia vi sono due società parassitarie: l'una è la mafia, l'altra è la sinistra, con il suo corredo di sindacati e di cooperative... Ma forse dire questo è troppo: la sinistra infatti non ha neppure la dignità criminale della mafia, essa è solamente un morto che cammina... Come abbiamo visto, davanti alla vittoria reazionaria, la sua eroica risposta consiste nell'urlare al fascismo. In realtà la sinistra è come un pugile suonato, cammina sonnambulo. Con tutta probabilità, l'unica cosa da fare è sgambettare questo zombie.

(Toni Negri, "La "Rivoluzione" italiana e la "devoluzione" della sinistra", Futur Antérieur, estate 1994, ora in L'inverno è finito, Castelvecchi, 1996)





COSTITUZIONE

Deve la nostra generazione costruire una nuova Costituzione? Se pensiamo alle ragioni con le quali i vecchi costituenti motivavano l'urgenza di mettersi al lavoro di rinnovamento, non possiamo che riconoscerne presenti oggi l'intera panoplia. Mai la corruzione della vita politica e amministrativa è giunta a tal punto, mai la crisi di rappresentanza è stata tanto forte, mai la disillusione democratica tanto radicale. Quando si dice "crisi del politico", si dice in realtà che lo Stato democratico non funziona più, che anzi si corrompe irreversibilmente in tutti i suoi princìpi e organi: la divisione dei poteri e i princìpi di garanzia, i singoli poteri unoa uno e le regole di rappresentanza, la dinamica unitaria dei poteri e le funzioni di legalità, di efficacia e di legittimità amministrativa. Se c'è una "fine della Storia" da salutare, essa consiste certamente nella fine della dialettica costituzionale cui il liberalismo e lo Stato della maturità capitalistica ci avevano legato

(Toni Negri, Repubblica costituente, Riffa-Raff, 1993, ora in L'inverno è finito, Castelvecchi, 1996)

sabato 2 marzo 2013

CE N'EST QU'UN DEBUT (pensieri entusiasti del post-tsunami)

basta con l'intellettuale organico e anche con quello inorganico, con il suo sex appeal sudaticcio e appiccicoso: è giunto il momento dell'INTELLETTUALE SENZ'ORGANI

venerdì 18 gennaio 2013

Scrittura spam sempre più di mio gusto

"caro, hai fatto un corso di scrittura in queste feste? Ti trovo infatti molto più leggibile, leggero e ficcante in questi rapidi appunti di diario 2013 on line. Prosegui così simpatico, non tornare sulla vecchia via della noia d'Epoca nostra.
Già c'è chi per-siste per te e perciò mal e-siste ben sistimato in sel-la/ ma di-sistimato con la testa a di-partito / alla fine però sol per-isce dannato / con una prece parlamentare e un fregherò per te.
Saluti, Eldorado."

PS: alcuni appigli testuali mi fanno pensare che si tratti di un mio amico burlone