E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

martedì 29 giugno 2010

Taricone/Reinfaldt

La morte di Pietro Taricone mi ha fatto venire in mente un singolare personaggio che aveva colpito la mia fantasia molti anni or sono quando abitavo a Parigi. Ne avevo disegnato un ritrattino in un racconto intitolato Volare, qui rieditato.

Nel 1911, un sarto parigino di nome Reinfaldt pensò bene di lanciarsi giù dalla Tour Eiffel vestito di un mantellone da lui stesso confezionato, il quale avrebbe dovuto fargli quasi da ali e permettergli nella sua fantasia di volare come un aliante, planando sulla folla e sentendosi molto potente nel librarsi come aerea creatura.
(Spicca con evidenza come il mantellone sartoriale altro non fosse che un prototipo del moderno paracadute.)

Si spatasciò Reinfaldt al suolo davanti al pubblico curioso accorso per l'occasione, e “secondo l'autopsia, morì di infarto prima ancora di toccare terra” (dalla Guida Peugeot di Parigi).

Ipocrita volatore, mio simile, fratello!

mercoledì 23 giugno 2010

The National, Fake Empire (mia traduzione)



Stai fuori supertardi questa notte
A pigliar mele e a fare torte
Metti qualcosa nella nostra gazzosa
e bevitela con noi
siamo semidesti in un impero falso
siamo semidesti in un impero falso

In punta di piedi nella città che riluce
ciabattine diamantate ai piedi
Fa' pure il tuo gaio balletto sul ghiaccio
noi abbiamo un uccellino azzurro sulle spalle
siamo semidesti in un impero falso
siamo semidesti in un impero falso

Spegni la luce e di’ buonanotte
Basta coi pensieri per un po'
Cerca di non voler capire tutto insieme
è difficile seguirti mentre piombi giù dal cielo
siamo semidesti in un impero falso
siamo semidesti in un impero falso


Stay out super late tonight
picking apples, making pies
put a little something in our lemonade and take it with us
we’re half-awake in a fake empire
we’re half-awake in a fake empire

Tiptoe through our shiny city
with our diamond slippers on
do our gay ballet on ice
bluebirds on our shoulders
we’re half-awake in a fake empire
we’re half-awake in a fake empire

Turn the light out say goodnight
no thinking for a little while
lets not try to figure out everything at once
It’s hard to keep track of you falling through the sky
we’re half-awake in a fake empire
we’re half-awake in a fake empire

martedì 15 giugno 2010

Naturalizzazione o arte!

Direi che Popper è invecchiatiello, è chiaro che la pratica degli scienziati non corrisponde al suo ideale falsificazionista. Per fare un esempio concreto: nessuno chiede fondi per una ricerca che voglia falsificare qualcosa, ma tutti ne chiedono per progetti di ricerca che "dimostrino" qualcosa... Il che è ovvaimente assurdo ma va tenuto presente.

Con “scientifico” intendo alla Chomsky ciò che si basa su "evidenze sperimentali", e naturalmente so che qualsiasi filosofo può contestare il concetto di "evidenze sperimentali", ma lì penso appunto che lo scienziato cognitivo debba avere il coraggio di posizionarsi a cavallo di filosofia e scienza, surfando sulle onde delle difficoltà concettuali e ideologiche.
Riguardo all'evoluzionismo, per esempio, non è un obbligo per lo scienziato cognitivo, vedi Chomsky, Fodor, Piattelli e altri vegliardi. Io penso che sia la direzione sbagliata, ma riconosco che l'evoluzionismo rischia sempre di diventare un dogma (come già vedeva acutamente Wittgenstein in un Pensiero diverso).

Allora tutto ciò che non è sperimentalmente osservabile non è scientifico? No, perché c'è del metodo anche altrove. Il punto è: SE in un dominio nel quale SI PUO' SPERIMENTARE, non si sperimenta e ci si affida al qualitativo fenomenologico primapersonalistico, allora direi che lì si sta andando fuori dal seminato.
Il che, essendo io anarchico anche filosoficamente, non è un peccato da punire, ma semplicemente una scelta che non va occultata e che può avere risultati bellissimi.

La fenomenologia è ovviamente una disciplina grandissima che ci ha insegnato molto: il punto è che qualsiasi disciplina che escluda a priori la possibilità della sua naturalizzazione è una disciplina antiscientifica.

O naturalizzazione o arte!

venerdì 4 giugno 2010

Come Hrundi Bakshi al cesso

Vi ricordate Hrundi Bakshi (Peter Sellers) in quella memorabile scena di The party (Hollywood party), che è il mio film-feticcio? Hrundi va nel bagno della villa e inizia a fare un casino dopo l'altro: gli cade il quadro nel cesso e lo asciuga con la cartaigienica, ma il rotolo inizia a scorrere e non si ferma più e lui guarda in perfetta immobilità indiana il cumulo di carta che si sta formando... Poi mette tutta la carta nel cesso e tira l'acqua, lo sciacquone non si arresta e l'acqua inizia a tracimare dal cesso allagando tutto il bagno, dal quale alla fine Hrundi fuggirà per non essere scoperto dalla cameriera. (Esce dalla finestra, si arrampica sui tetti, scivola e cade epicamente nella piscina).

E da qualche parte Derrida dice di sentirsi talvolta come quei nevrotici ossessivi che si lavano le mani di continuo, solo che lui ha l'impressione di sporcarsele ancor di più, lavandosele.

Quando sto male, io mi sento come Hrundi Bakshi al cesso, tocche le cose e cadono per terra, non cooordino i movimenti, ogni gesto mi sembra difficile, ci sono attimi in cui la catastrofe mi sembra a portata di mano e attendo che il mondo mi crolli addosso tutto assieme.

La sindrome di Stendhal e la professoressa di fisica

Fino al penultimo anno di liceo ero molto bravo in matematica e fisica, ero intuitivo e lavoravo con facilità e soddisfazione. Sentivo che la mia mente mi portava da quella parte e avevo l’intenzione di iscrivermi al corso di laurea in fisica o matematica.
Poi arrivò una professoressa giovane e carina, di cui nemmeno ricordo il nome, e tutto cambiò. La prof era una ragazza alta, carina e molto affettuosa con me, e l’agio con cui ci spiegava fisica e matematica mi conquistò in tempi brevissimi.
Gradualmente la matematica e la fisica persero quella fredda esattezza che prima le contraddistingueva ai miei occhi: non più perfette porte e finestre sull’essere, ora erano incorniciate dalla femminile presenza di lei. Dietro alle equazioni c’era ora la mia speranza di risolverle bene, per lei, e la mia paura di sbagliarle e di apparire ai suoi occhi uno qualsiasi, come i miei compagni, magari volenteroso ma incapace.
Quasi non conservo memoria di nulla di tutto ciò, ma so che è successo davvero, anche se forse nessuno oltre a me potrebbe testimoniarlo.
[continua]

giovedì 3 giugno 2010

Il sesso delle cose (Vogue2)


Pubblicato su Vogue.it


Secondo Mario Perniola non possiamo più distinguere il corpo e gli abiti. La pelle è un tessuto e gli abiti sono una seconda pelle, indistinguibile dalla prima. Anche questo è ciò che Benjamin chiamava “sex-appeal dell’inorganico”. Nel caos postmoderno le cose non hanno più senso ma fanno sesso. “La lingua che mi pervade e mi copre, il sesso che mi penetra e mi indossa, la bocca che mi succhia e mi spoglia, tutto è metafora vestimentale. (…) Le pieghe del sesso femminile non sono diverse dagli affossamenti del tessuto del sedile, la pelle che scorre lungo l’asta del sesso maschile è affine alla fodera del bracciolo: le vesti di carne dei nostri corpi, liberate dal tempo e sospese in un incanto senza attesa, sono l’oggetto di un investimento sessuale infinito ed assoluto che potrebbe sembrare più consono a un sarto, a una modista, a un tappezziere impazziti che ad un filosofo”. Secondo Perniola il filosofo deve proclamare che il regno delle cose è “l’impero di una sessualità senza orgasmo”, neutra, sospesa e artificiale (Mario Perniola, Il sex appeal dell’inorganico, Einaudi, 1994).

Passioni tristi sciò

Non sopporto le risse: ora che di nuovo sono partiti insulti e minacce di querela non riuscirò nemmeno a leggere la nota di Paolo Melissi che immagino interessante.

Dopo lo scazzo con Gilda Policastro mi ero scusato con lei, in privato, dopo la morte di Sanguineti cui la sapevo molto legata, non certo per il "delirante gruppo" (GP) da me fondato ("Gilda Policastro's academic hearts club band") in seguito agli scazzi con lei, poi secretato (alcuni amici comuni sembravano impazziti dal dolore): era un'idea satirica carina e per nulla infamante, ma in tutta la vicenda mi pareva di essermi lasciato prendere troppo dalle passioni tristi.
Che mi schifano.
E di tutte le passioni tristi mi schifano soprattutto quelle provocatemi dai dissidi innescati a proposito di letteratura.
Come ha detto giustamente Lello Voce (anche con lui, che minacciava "ceffoni" a chi aveva deriso GP, ci siamo chiariti, perché non c'era motivo per insultarsi per nulla): in fondo è solo letteratura del cazzo, no?