Danilo Dolci (1924-1997) è stato «uno studioso, un poeta, un filosofo e, anche se non riconosciuto, un politico. Dolci non si può comprimere in nessuno schema: aveva una sua grande religiosità e una sua grande concretezza. Univa il digiuno alla lotta alla mafia, la pedagogia all’azione nonviolenta. La poesia al dibattito» (Marrone-Sansonetti).
Nel 1956 Danilo Dolci viene processato a Palermo per aver organizzato un’azione nonviolenta come lo sciopero alla rovescia nella “trazzera” di fango, vicino a Partinico. «In sostanza che cosa aveva fatto Danilo Dolci? Si era buttato a studiare le ragioni del banditismo, della nonviolenza, della miseria, della disgregazione fisica, dell’ignoranza, e aveva trovato che la mancanza di lavoro, nei disoccupati e nei sottoccupati, era la ragione dominante di quei mali. Ed allora aveva preparato per mesi, con la sua meticolosità di architetto, lo sciopero a rovescio, digiunando prima per unire a sé gli animi mediante l’umiltà e la sofferenza [...]; aveva impegnato alla nonviolenza, a non portare nemmeno il coltello per tagliare il pane (dopo San Francesco nessuno in Italia tanto appassionatamente e insistentemente aveva preso, uno per uno, le persone del popolo per persuaderli a non reagire violentemente: - Bisognava far risparmiare allo Stato le spese per la polizia armata, perché mandi invece tecnici agricoli, insegnanti, assistenti sociali -; aveva scelto una strada abbandonata e piena di fango (trazzera) fuori Partinico, e lì avevano cominciato a riattarla. Una società che ammette la «legittima difesa», tanto più dovrebbe ammettere l’«iniziativa educatrice»; e se mai ve ne fu una, tale era quella di Danilo [...]: era non una guerra, ma un atto di pace, mediatore il lavoro, con la società che non si valeva dei suoi strumenti, che sono le amministrazioni pubbliche, per accogliere nella pace del lavoro quella folla di disoccupati. Era un atto di amore, non di vendetta, una mano tesa [...])» (Capitini A., Danilo Dolci, p.6).
Dolci ha ben chiara la logica della nonviolenza e intende propagarla in mezzo al popolo. Lui che stava per sposarsi e diventare architetto al nord, aveva abbandonato tutto ed era andato in Sicilia per questo. Nell’autunno del 1952 arriva nella povera zona di Montelepre, nel poverissimo villaggio di Trappeto. Molti che erano diventati banditi per necessità riconoscono in lui una persona che vuole davvero cambiare le cose.
Nel ’52 quando vede un bambino morire di fame digiuna finché le istituzioni non promettono di fare qualcosa. Ma non è ancora il fare presto e bene perché si muore, che Dolci invoca in un suo libro.
Nel ’56, pertanto, Dolci organizza uno “sciopero alla rovescia”: «riunioni e riunioni si moltiplicavano a vari livelli. Ponevo soprattutto questa domanda: “come è necessario muoversi per vincere?”. Via via tutti salivano un gradino più alto nella problematica. Naturalmente le proposte o le indicazioni si avviavano esagitate: bruciare il municipio, tirare sassi sulle caserme dei carabinieri, fermare i treni... Messe più a fuoco, invece, le proposte prendevano una forma più consistente, acquistavano concretezza. [...] il 30 gennaio del ’56 si decise di digiunare in millle persone; poi di indire uno sciopero per il 2 febbraio. Tutto venne accuratamente preparato [...].
Innanzitutto pensammo di informare accuratamente l’opinione pubblica su quello che stava per accadere. Mandammo ciclostilati e lettere dappertutto, al Presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, al Presidente della Regione Siciliana. Erano state raccolte tra la popolazione millecinquecento firme, in appoggio alle nostre richieste, basate soprattutto sull’irrigazione della terra e sull’apertura di scuole. Proprio in quei giorni, all’incirca alla metà del gennaio ’56, mi avevano invitato a Torino per una trasmissione televisiva intitolata “Orizzonti”. Avvertii i funzionari e gli organizzatori che avrei parlato chiaro.
[...] Allora si trasmetteva in presa diretta: avvertii che avremmo fatto uno sciopero particolare, cioè lavorando a una strada di campagna, necessaria, ma quasi impraticabile. Furio Colombo, che curava la trasmissione, mi assicurò che andava in onda; due giorni dopo, venni a sapere che era stato estromesso dalla rubrica, anzi mi dissero che era stato licenziato dalla Rai. [...]» (Spagnoletti, Conversazioni con Danilo Dolci, p.62)
L’opposizione delle istituzioni e della chiesa cattolica contro un’iniziativa nonviolenta, e per di più di pubblica utilità, fu durissima. Oltre al processo, Dolci fu attaccato e calunniato in ogni modo, relativamente alla serietà dei suoi digiuni, poi per un racconto-inchiesta pubblicato nel 1955 su Nuovi Argomenti, che secondo gli stigmatizzatori era “pornografia”.
Quando nel 1957 Dolci ricevette il «Premio Lenin per la pace», ciò costituì un ulteriore capo d’accusa da parte della destra. Dolci spiegò che, pur non essendo comunista, avrebbe accettato il premio, che costituiva un riconoscimento dei metodi nonviolenti da parte dell’Urss, anche per poter utilizzare il denaro per il Centro di studi per la piena occupazione in Italia.
In un’intervista all’Espress, Dolci affermava: «Ciò che importa, è che la nonviolenza si faccia strada in ogni gruppo politico e, a questo riguardo, credo al mantenimento di un contatto costante con persone che si augurano una trasformazione profonda, rivoluzionaria, ma nonviolenta, dei rapporti sociali» (p.13).
Del resto perché stupirsi se uno come Dolci accettava un premio proveniente dall’Urss: in fin dei conti, notava Capitini, «non vedemmo Gandhi andare a far visita a Mussolini?» (ibid.).
Testi citati:
Capitini A., Danilo Dolci, 1958, Lacaita Editore, Manduria.
Spagnoletti G., Conversazioni con Danilo Dolci, Arnoldo Mondadori Editore.
(Pubblicato in Senza violenza. Idee e storie dei movimenti per la pace, a cura di Edoardo Acotto, “Giorni di storia” n. 38, L’Unità, 2004)