Estensione
del dominio dell'inclusività
Remember
me, special needs (Placebo)
Bisogni
Educativi Speciali è l'etichetta italiana con cui il MIUR ha
recepito l'orientamento europeo sugli Special
Educative Needs (SEN:
pare che sia il Regno Unito ad averne parlato per primo). L'etichetta
nostrana, buffamente omofona del nome del dio minore del pantheon
egizio (spesso rappresentanto come un
vecchio nano con gambe storte e ornato di piume di struzzo),
ha subito attecchito nel gergo scolastichese: pochi sanno che cosa
significhi e quand'anche si sappia sembra che si consideri ovvio il
significato di un concetto tecnico che ovvio non è affatto. Dato il
contesto scolastico, che cosa significa bisogni? Che cosa significa
educativo? Che cosa significa speciale? È un concetto tripartito che
prima di essere applicato in modo intuitivo o burocratico andrebbe
pensato e analizzato molto bene.
Non
c'è una normativa comune a livello di Unione Europea, ma da anni i
SEN fanno parte del repertorio concettuale degli esperti educativi.
Si dice per esempio nell'incipit di un rapporto della Commissione
europea del 2005, giocando sull'ambiguità di “speciale” (che
infatti qualcuno propone di sostituire con “specifico”): “Like
DNA each individual is unique. Being unique makes that individual
special. The word special is used to describe something that relates
to one particular individual, group or environment. Special also
means different from normal. Normal is used to refer to what is
ordinary, as in what people expect.”
Nella
scuola italiana i BES sono stati introdotti con la Direttiva
Ministeriale BES (27/12/2012) dal ministro Profumo. Il ministro
Carrozza ha poi diramato una circolare ministeriale (n.8 del
6/03/2013) nella quale precisava (non senza qualche vaghezza) in che
modo dovrebbe avvenire l'implementazione del dispositivo normativo.
Profumo, per chi non lo sapesse, è il ministro dell'infelice frase
sul bastone e la carota per gli insegnanti.
Era considerato un “tecnico”,ambigua etichetta che sembra quasi
oler giustificare l'aggressività rivolta versi i propri stessi
dipendenti (il ministro Brunetta chiamava “fannulloni” i
dipendenti pubblici, ma l'espressione di Profumo mi sembra peggiore,
connotata com'è in senso bellico-fascista).
L'attuale
ministro Mariagrazia Carrozza, invece, esperta mondiale di
meccatronica
e già direttrice del Sant'Anna è un ministro politico, espressione
del PD, pur continuando la breve serie dei ministri dotati di
expertise
(a differenza di Mariastella Gelmini che poco o niente aveva a che
fare con istruzione università e ricerca). Da lei, dunque, qualcuno
poteva forse aspettarsi una qualche sensibilità “di sinistra”
riguardo alla scuola, ma. Suppongo che quel qualcuno sia rimasto
deluso dalle recenti notizie: per fare solo due esempi, secondo il
ministro il liceo di quattro anni andrebbe benissimo, così come il
meccanismo della cooptazione per l'arruolamento dei docenti
universitari, introdotto dalla riforma Gelmini e sostenuto anche da
molti professori universitari di centrosinistra (perché affaticarsi
a fare concorsi truccati quando si sa che la cooptazione di fatto già
avviene?).
Insomma,
i BES sono stati introdotti da due ministri che non sembrano avere
molto a cuore il sistema educativo pubblico così come consegnatoci
dalla Costituzione.
Tornando
ai BES, la Direttiva Profumo rinvia all'elaborazione teorica
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità relativa al
“funzionamento” degli esseri umani (e qui si potrebbe discutere
parecchio della legittimità di tale concetto). Dice infatti quanto
segue: “[...] è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale,
del modello diagnostico ICF (International
Classification of Functioning)
dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una
prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di
funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF consente
di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno
prescindendo da preclusive tipizzazioni.” C'è insomma un tentativo
di coniugare il tecnicismo di una razionalizzazione mondiale
con
il contrasto alle stigmatizzazioni di chi si trovi in situazione di
bisogno. La
Direttiva Ministeriale di Profumo in pratica ha esteso a tutti gli
studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione
dell’apprendimento.
L'area dei Bisogni Educativi Speciali comprende infatti: “svantaggio
sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi
evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della
cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture
diverse”. La Direttiva riconosce che esistono tanti tipi di disagi
oltre a quelli già classificati come “diversabilità” (Ianes) e
come “Disturbi Specifici dell'Apprendimento” (DSA:
dislessie, discalculie, disgrafie, disortografie).
Da
questo punto di vista mi pare che il testo della Direttiva ponga un
problema reale, perché la natura pervasiva e sociopolitica del
disagio non può essere ignorata da nessun insegnante. Ogni classe è
un piccolo mondo che riflette in qualche modo il vasto mondo sociale,
attualmente in forte crisi, come ben noto. Che la scuola possa
prendersi cura del disagio dei giovani cittadini, istituzionalmente e
non solo in maniera volontaristica e asistematica, come da sempre
avviene, è positivo. È una potenziale apertura della scuola verso
la società e le sue tensioni, che troppo spesso filtrano all'interno
in maniera asettica, come se ci fosse per davvero una separazione tra
dentro e fuori, tra incluso ed escluso.
Con
la nuova normativa BES è responsabilità degli insegnanti e del
consiglio di classe individuare a tutela dell'alunna o dell'alunno in
situazione di disagio la possibilità di tenere conto dei “livelli
minimi attesi per le competenze in uscita”, per ciascun ciclo di
studi (primo biennio, secondo biennio, quinto anno). Questo non
significa poter “promuovere tutti” (l'eterna paura di certi
insegnanti un po' reazionari) ma significa evitare che un* giovane
con . Farò un solo esempio personale: a metà ottobre il
coordinatore di una classe mi parla di una alunna con BES certificato
(possono esserlo o non esserlo) e mi dice che non ha speranza di
farcela nella nostra scuola. Ma durante il primo collloquio con la
madre della ragazza si scopre che alle medie era abituata a usare un
pc portatile, per compensare la sua disgrafia: fino a quel momento
nessun insegnante aveva pensato di chiederglielo e ci si accingeva
già a “riorientare” la ragazza verso un'altra scuola. Non per
cattiveria ma perché a scuola spesso si ragiona ancora sulla base di
una semplice logica binaria: ce la fa/non ce la fa, è da
promuovere/è da bocciare, è bravo/non è bravo. Il concetto di
inclusività potrebbe forse scardinare questa logica, o almeno
indebolirla (non dirò “decostruirla” perché questo mutamento,
se avviene, non avviene affatto da sé, c'è anzi bisogno di molto
lavoro culturale sul campo).
I
BES sono stati recepiti abbastanza male: molti insegnanti li hanno
identificati come un potenziale “bastone”, non certo come una
carota. Si è temuto un carico supplementare di lavoro unito a una
subdola manovra per diminuire gli insegnanti di sostegno (è questa
la prima interpretazione che si è levata da sinistra, da parte
sindacale e sui siti specializzati).
Non
ne sanno quasi nulla, o forse proprio nulla, i cosiddetti "utenti"
(squallido lessema neoliberista), cioé alunn* e famiglie. Del resto,
in apparenza questo è un cambiamento normativo che riguarda soltanto
il corpo insegnante: per gli "utenti" dovrebbe manifestarsi
come surplus di tutele. Invece... Invece è nell'interesse di tutti i
cittadini italiani che hanno a che fare con la scuola conoscere bene
questo nuovo dispositivo (che si potrebbe chiamare “biopolitico”,
per scomodare il concetto di Foucault ultiamente molto di moda): in
certi casi potrebbe essere un'utile arma difensiva contro certe
inerzie nocive di un'istituzione fortemente in crisi come la scuola.
I
BES sarebbero un indubbio bene se venissero effettivamente usati per
aumentare l'inclusività della scuola. Sulla carta sono progettati
così, naturalmente come dispositivo propositivo e non come
“grimaldello” decostruttivo dell'esclusione scolastica. Ma è
questa una prospettiva che si può aggiungere da una posizione
militante, diffidente verso le buone intenzioni
meccatronico-ministeriali.
I
BES possono anche essere un rischio: come ogni rivoluzionario sa, il
fallimento è sempre in agguato. Con il prodigioso (e misterioso)
aumento dei disturbi specifici e aspecifici dell'apprendimento, nei
prossimi anni si avranno scuole che per ingrandirsi accetteranno
alunni con problemi, mentre altre potrebbero scegliere una politica
di “pulizia”: nonostante si parli di scuola pubblica statale, le
scelte dei dirigenti possono infatti esssere diametralmente opposte,
grazie a quell'altro flagello neoliberale che è la cosiddetta
Autonomia scolastica.
La percentuale di BES nelle scuole potrebbe anche diventare uno
stigma socialmente divisivo: qualcuno non vorrà iscriversi in una
scuola con troppi bisogni speciali.
C'è
ovviamente anche un'altra possibilità, e cioé che i BES non abbiano
nessuna efficacia, non servano ad aumentare l'inclusività e lascino
tutto così com'è, solo con qualche modulo compilato in più. In
questo caso l'ominimia col personaggio egizio, omino piccolo e brutto
ma vestito di piume di struzzo, risulterebbe profeticamente e
tristemente azzeccata.
Bisogna
soprattutto tenere conto che l'introduzione dei BES avviene in un
contesto scolastico gravemente degradato, a causa della riforma
Gelmini ma non soltanto: c'è un fil
rouge abbastanza
evidente che collega il finanziamento anticostituzionale della scuola
privata, avviato dal ministro di centrosinistra Luigi Berlinguer enl
1998, con le tre "I" berlusconiane e la riforma Gelmini
("la prima e unica dopo quella di Gentile"), e con la
tecnicizzazione anche della politica scolastica propria agli ultimi
due governi. La criticità della situazione si manifesta in modo
molto concreto: cominciano a essere frequenti le cosiddette “classi
pollaio” con trentacinque alunni di cui magari, per semplice
statistica, circa tre con DSA, uno o due con BES, un diversamente
abile e almeno uno straniero. E poi ovviamente con molti altri disagi
psicologici, sociali ed economici non facilmente formalizzabili. Si
aggiunga che una simile classe-polveriera, sempre per semplice
statistica, viene spesso lasciata in mano a un insegnante - più
spesso una
insegnante - mediamente ultracinquantenne, sovente sull'orlo del burn
out
anche solo per semplici ragioni anagrafiche e sociali (ho visto
diverse colleghe con genitori anziani e malati faticare per fornire
loro un'assistenza ormai quasi insostenibile sul piano economico).
I
BES vengono dunque gettati nella mischia senza aver prima fornito ai
lavoratori della scuola gli adeguati strumenti, dato che il taglio
degli investimenti per la scuola pubblica non soltanto ci condanna a
stazionare in edifici non a norma (e talvolta crollano) ma anche a
non poter svolgere appieno e serenamente la nostra funzione.
Ma
nonostante tutto questo, io penso che i BES possono comunque essere
un'opportunità. Non vedo infatti che cosa dovrebbe trattenere gli
insegnanti che non rinunciano all'utopia di una rivoluzione
nonviolenta da attuarsi giorno dopo giorno, dall'impegnarsi per far
funzionare questo dispositivo normativo in modo rivoluzionario.
Mentre la nave Scuola affonda, insomma, non vedo perché dovremmo
rinunciare a estendere il dominio della lotta. Mi rendo conto che la
scuola come nave che affonda non è certo un'immagine rassicurante e
sembra implicare che qualcuno non si salverà. L'inclusività può
essere una buona scialuppa di salvataggio? Io lo voglio sperare: è
un ideale che parla di una scuola aperta, forse addirittura di una
futura società aperta, nel senso capitiniano dell'apertura al
tu-tutti.
Bisognosi
di tutta la società unitevi (dentro e fuori la scuola)!
Edoardo
Acotto