E’ tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell’oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all’intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. (Giacomo Leopardi)

sabato 30 novembre 2013

Come spiegare in poche parole a un ricercatore australiano come diavolo sei passato da Badiou alla musicologia cognitiva

Well, it was many years ago (1998). I studied with Badiou for two years, for my D.E.A. about Deleuze and… Badiou himself.
At the end of that experience I was satiated of French philosophy and I felt the need for a more empirically grounded style of thought (that was my criticism of his philosophy: it is a form of idealism).
I started a PhD with him but after some times I stopped, because I was no more convinced. Than I did a PhD in philosophy with a French wittgensteinian scholar, Antonia Soulez: the topic was the philosophical style. In that thesis I worked on Relevance Theory, and at the end of it I understood that this theory could be applied to music. So I started my present research program on “musical relevance”, a concept that I formed mixing Relevance Theory and Lerdahl and Jackendoff’s A Generative Theory Tonal Music.
If you are interested you can read a 2012 paper accepted by CogSci: http://mindmodeling.org/cogsci2012/papers/0224/index.html
This version completely lacks of the psychological experimentation that we have done and we are doing after, but It is a first statement of my theory.

Cose brutte che mi rattristano, 1

La mamma che viene a parlarmi per dire che i compagni di sua figlia - a differenza di sua figlia (che ha avuto l'insufficienza grave) - hanno copiato durante il ridicolo test sulle letture estive: mi riempie di tristezza.

lunedì 25 novembre 2013

In morte di Costanzo Preve

Di lui so troppo poco per poter dire qualcosa di sensato (anche se una mia idea ce l'ho). Di sicuro ciò che avevo letto di lui sul Manifesto vent'anni fa, e cioè della sua militanza nel Campo Antimperialista, me lo aveva immediatamente allontanato. Ma ciò che il Manifesto omise di dirmi, giovane neomarxistucolo piccolo borghese qual ero, è che Preve è un filosofo sicuramente interessante, di enorme erudizione e dalla produzione imponente. E tanto mi sarebbe bastato per non ignorarlo per vent'anni, fino alla sua scomparsa.

Riservandomi di leggere il più possibile nei prossimi tempi, mi limito per ora a pubblicare i link degli unici (per ora) due suoi libri che ho trovato online.

- Il tempo della ricerca. Saggio sul moderno, il post-moderno e la fine della storia: http://en.bookfi.org/book/1513164

- Ideologia italiana. Saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia: http://en.bookfi.org/book/1513163

Qui si trovano diversi articoli: http://www.kelebekler.com/occ/prevearticoli.htm

***

Recepisco il suggerimento di Marcello Teofilatto e linko l'Elogio della filosofia ebook gratuito della casa editrice Petite Plaisance.

sabato 23 novembre 2013

Intuizione, 15 (Libertà impura)

Ai filosofi e agli intellettuali il tema e il concetto della libertà sono molto cari.
L' "uomo comune" - posto che esista aldilà dell'astrazione necessaria a un discorso un po' retrivo come questo - non si cura tanto del concetto quanto della sua pratica.
I filosofi come li conosciamo (esclusi quindi gli antichi, Aristotele incluso) tendono a opporre la libertà interiore, spirituale ed etica, a quella esteriore, fisica, sociale e politica (un tema inizialmente sviluppato dalle filosofie ellenistiche, magistralmente stilizzato da Hegel).
Ma l'opposizione di fisico e spirituale si decostruisce da sé.
La nostra stessa quotidianità è un'alternanza di sottomissione pratica ai nostri doveri pratici, desideri e "piani di comportamento" e di ribellione o frustrazione degli stessi.
La libertà è un impasto empirico-trascendentale, impura come l'essere che solo possiamo conoscere, umani.

venerdì 22 novembre 2013

Intuizione, 14 (L'assenza della "voltità" dal web)

Io me lo ricordo bene, quando all'inizio si sentiva l'esigenza di conoscere almeno il volto dell'amico di FB. Poi questa cosa è scomparsa completamente, corrispondiamo quotidianamente con amici dal volto assente.

"Segno dell'alienazione della comunicazione virtuale!", si affretta a dire il virtuoofobo apocalittico.
Va bene, ma quando per secoli gli intellettuali europei corrispondevano tra di loro avevano forse un'idea precisa del volto dell'Altro? Al massimo una stampa, ma solo per i casi più illustri, suppongo.

PS: a parte che se proprio la curiosità per il volto altrui ci rode, si fa in fretta a soddisfarla con una foto. Pensa, o virtuoofobo, conosco persino persone che dalla Rete sono passate a conoscersi realmente! Pensa!

Crepi il porco liberale!

martedì 19 novembre 2013

Intuizione, 13 (Adorniana: musica e alienazione)

Senza sacrificio non si impara la musica. Una volta che si è imparata, essa ci restituisce poi moltissimo in forma di sentimenti ineffabili e sublimi.
Ma è appunto soltanto un risarcimento, una consolazione per aver dovuto sofrire ad imparare un linguaggio e una tecnica musicali altamente difficili.
Tale linguaggio e tale tecnica sono impensabili al di fuori di una società alienata, ne sono anzi un'espressione (vedi le elucubrazioni di Adorno sul progressismo di Schoenberg e il reazionarismo  di Stravinsky).

Intuizione, 12 (Infanzia e rivoluzione)

Fino a qualche anno fa non mi dispiaceva l'idea di morire su una barricata, combattendo contro un golpe fascista.
Da quando ho un figlio, invece, penso spesso con ansia che se il sistema sociale italiano crollasse, se si creasse una situazione rivoluzionaria a rischio di violenta repressione poliziesco-militare e conseguente restaurazione tecnodittatoriale, la mia unica preoccupazione sarebbe Agostino, mio figlio. Come metterlo in salvo? Come preservarlo dalla violenza?
Come tollerare che un bambino sia esposto al male degli uomini adulti? Lo so, sembra che tolleriamo quotidianamente che ciò avvenga, ma io credo che in realtà non lo tolleriamo affatto, chi più chi meno siamo tutti pronti a ribellarci fino alla morte per difendere un qualsiasi bambino, un qualsiasi debole, un qualsiasi oppresso: sono immagini sostanziali di noi stessi, della nostra stessa precarietà e finitezza. Gli atti di eroismo di persone comuni si spiegano così, con l'istinto altruistico e l'amorosa cooperazione che nella nostra terribile specie convivono accanto ai peggiori istinti egoistici e distruttivi.

Ho pensato a come potevano vivere i genitori nei primi giorni di una dittatura come quella cilena. Che cosa pensavano le mamme e i papà mentre i feroci assassini fascisti cominciavano a sterminare sistematicamente i cileni democratici?
Ho improvvisamente intuito che non potevano pensare ad altro che ai loro bambini, la cui vita era cognitivamente protetta - fino al momento del disastro reale - dall'angoscia della guerra e della morte. Probabilmente prima di essere catturati e annientati, molti cileni giocavano coi loro bambini esattamente come prima, si sforzavano di farlo, per non turbare la meccanica e biologica calma irrequieta della quotidianità infantile.

Ha ragione Deleuze, i bambini sono la pura immanenza e il loro essere mondano è in qualche senso perfetto.
Ora so che se cominciasse la rivoluzione io dovrei guardare dentro la sfera del mondo del mio bambino per trarne luce e quiete.
Fino all'ultimo istante.

lunedì 18 novembre 2013

Appunti su "La conoscenza storica dal punto di vista cognitivo"

Conoscenza storica come rappresentazioni mentali.

Perché lo storicismo non funziona (nella scuola di massa) sul piano cognitivo.

Concatenamenti di eventi storici: meccanici (causali), non logici.
Tipicità del post hoc ergo propter hoc.

Informazioni del contesto iniziale troppo poco rilevanti (bisognerebbe eventualmente cominciare dal presente e andare a ritroso: "prima di x c'era y". Perché non si può?).
Se fino a un certo punto il bambino riceve come naturali le narrazioni sul passato, quando avviene la frattura gnoseologico-storica? Tra fanciullezza e adolescenza? Tra medie e superiori? Perché ricominciare dall'antichità nel primo biennio superiore? Forse sarebbe meglio continuare con la contemporaneità  e recuperare vecchie informazioni, via via ampliandole e approfondendole, in dialettica spiraloide, per assecondare la maturazione del discente?

Scuola italiana

La mia supplente dell'anno scorso scriveva "D'Anton" e pronunciava apéiron (non sapeva il greco ma diceva di voler insegnare i termini greci) e Goite (il famoso poeta tedesco-piemontese di inizio Ottocento).

Quest'anno invece il mio supplente è un Normalista e vorrei quasi chiedergli di darmi qualche lezione.

Quando torno a scuola devo dire ai miei alunni: in questi due anni voi avete visto l'Alfa e l'Omega della scuola italiana. Io sto nel bel mezzo (sono il Lambda o il Mi).

Liberarsi da Facebook!

Mi sto finalmente liberando da Facebook!
(Bastava dirmi che Twitter era così divertente :-D)

[Iniziare a pensare a Filosofia di Twitter]

domenica 17 novembre 2013

Intuizione, 11 (finitezza della merce)

La merce come oggetto necessariamente finito, diversamente invendibile.
Il non-finito come resistenza alla merce.
(Testi frammentari, in fieri, versioni multiple, scrittura online).

giovedì 14 novembre 2013

Appunti su Deleuze e Guattari e le scienze cognitive

Ottimo fiuto di D&G: "È una questione linguistica e politica: la critica al postulato che vuole il linguaggio essere informativo e comunicativo.Il linguaggio sarebbe una sorta di staffettista che informa, cioè passa i contenuti da un parlante a un ascoltatore. Il linguaggio fa anche questo, intendiamoci: ma non è questa la sua essenza." (De Michele)

E' anche una questione cognitiva: per Chomsky il linguaggio non è uno strumento evolutosi teleologicamente per farci comunicare. Serve anche a quello, ma è uno strumento comunicativo come altri, solo molto più potente e versatile.
D&G a modo loro l'avevano ben capito. Certo, la dimensione cognitiva è loro del tutto estranea, et pour cause. Sicuramente per loro "scienze cognitive" significava Chomsky, che avevano superficialmente identificato come un avversario, per via della struttura formale e gerarchica del linguaggio così come teorizzata fin dalle prime opere chomskyane.

sabato 9 novembre 2013

venerdì 8 novembre 2013

BES per Gli Asini (in fase di scrittura)



    Estensione del dominio dell'inclusività

Remember me, special needs (Placebo)

Bisogni Educativi Speciali è l'etichetta italiana con cui il MIUR ha recepito l'orientamento europeo sugli Special Educative Needs (SEN: pare che sia il Regno Unito ad averne parlato per primo). L'etichetta nostrana, buffamente omofona del nome del dio minore del pantheon egizio (spesso rappresentanto come un vecchio nano con gambe storte e ornato di piume di struzzo), ha subito attecchito nel gergo scolastichese: pochi sanno che cosa significhi e quand'anche si sappia sembra che si consideri ovvio il significato di un concetto tecnico che ovvio non è affatto. Dato il contesto scolastico, che cosa significa bisogni? Che cosa significa educativo? Che cosa significa speciale? È un concetto tripartito che prima di essere applicato in modo intuitivo o burocratico andrebbe pensato e analizzato molto bene.
Non c'è una normativa comune a livello di Unione Europea, ma da anni i SEN fanno parte del repertorio concettuale degli esperti educativi. Si dice per esempio nell'incipit di un rapporto della Commissione europea del 2005, giocando sull'ambiguità di “speciale” (che infatti qualcuno propone di sostituire con “specifico”): “Like DNA each individual is unique. Being unique makes that individual special. The word special is used to describe something that relates to one particular individual, group or environment. Special also means different from normal. Normal is used to refer to what is ordinary, as in what people expect.”

Nella scuola italiana i BES sono stati introdotti con la Direttiva Ministeriale BES (27/12/2012) dal ministro Profumo. Il ministro Carrozza ha poi diramato una circolare ministeriale (n.8 del 6/03/2013) nella quale precisava (non senza qualche vaghezza) in che modo dovrebbe avvenire l'implementazione del dispositivo normativo. Profumo, per chi non lo sapesse, è il ministro dell'infelice frase sul bastone e la carota per gli insegnanti1. Era considerato un “tecnico”,ambigua etichetta che sembra quasi oler giustificare l'aggressività rivolta versi i propri stessi dipendenti (il ministro Brunetta chiamava “fannulloni” i dipendenti pubblici, ma l'espressione di Profumo mi sembra peggiore, connotata com'è in senso bellico-fascista2).
L'attuale ministro Mariagrazia Carrozza, invece, esperta mondiale di meccatronica e già direttrice del Sant'Anna è un ministro politico, espressione del PD, pur continuando la breve serie dei ministri dotati di expertise (a differenza di Mariastella Gelmini che poco o niente aveva a che fare con istruzione università e ricerca). Da lei, dunque, qualcuno poteva forse aspettarsi una qualche sensibilità “di sinistra” riguardo alla scuola, ma. Suppongo che quel qualcuno sia rimasto deluso dalle recenti notizie: per fare solo due esempi, secondo il ministro il liceo di quattro anni andrebbe benissimo, così come il meccanismo della cooptazione per l'arruolamento dei docenti universitari, introdotto dalla riforma Gelmini e sostenuto anche da molti professori universitari di centrosinistra (perché affaticarsi a fare concorsi truccati quando si sa che la cooptazione di fatto già avviene?).
Insomma, i BES sono stati introdotti da due ministri che non sembrano avere molto a cuore il sistema educativo pubblico così come consegnatoci dalla Costituzione.
Tornando ai BES, la Direttiva Profumo rinvia all'elaborazione teorica dell'Organizzazione Mondiale della Sanità relativa al “funzionamento” degli esseri umani (e qui si potrebbe discutere parecchio della legittimità di tale concetto). Dice infatti quanto segue: “[...] è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni.” C'è insomma un tentativo di coniugare il tecnicismo di una razionalizzazione mondiale con il contrasto alle stigmatizzazioni di chi si trovi in situazione di bisogno. La Direttiva Ministeriale di Profumo in pratica ha esteso a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento. L'area dei Bisogni Educativi Speciali comprende infatti: “svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”. La Direttiva riconosce che esistono tanti tipi di disagi oltre a quelli già classificati come “diversabilità” (Ianes) e come “Disturbi Specifici dell'Apprendimento” (DSA: dislessie, discalculie, disgrafie, disortografie).
Da questo punto di vista mi pare che il testo della Direttiva ponga un problema reale, perché la natura pervasiva e sociopolitica del disagio non può essere ignorata da nessun insegnante. Ogni classe è un piccolo mondo che riflette in qualche modo il vasto mondo sociale, attualmente in forte crisi, come ben noto. Che la scuola possa prendersi cura del disagio dei giovani cittadini, istituzionalmente e non solo in maniera volontaristica e asistematica, come da sempre avviene, è positivo. È una potenziale apertura della scuola verso la società e le sue tensioni, che troppo spesso filtrano all'interno in maniera asettica, come se ci fosse per davvero una separazione tra dentro e fuori, tra incluso ed escluso.

Con la nuova normativa BES è responsabilità degli insegnanti e del consiglio di classe individuare a tutela dell'alunna o dell'alunno in situazione di disagio la possibilità di tenere conto dei “livelli minimi attesi per le competenze in uscita”, per ciascun ciclo di studi (primo biennio, secondo biennio, quinto anno). Questo non significa poter “promuovere tutti” (l'eterna paura di certi insegnanti un po' reazionari) ma significa evitare che un* giovane con . Farò un solo esempio personale: a metà ottobre il coordinatore di una classe mi parla di una alunna con BES certificato (possono esserlo o non esserlo) e mi dice che non ha speranza di farcela nella nostra scuola. Ma durante il primo collloquio con la madre della ragazza si scopre che alle medie era abituata a usare un pc portatile, per compensare la sua disgrafia: fino a quel momento nessun insegnante aveva pensato di chiederglielo e ci si accingeva già a “riorientare” la ragazza verso un'altra scuola. Non per cattiveria ma perché a scuola spesso si ragiona ancora sulla base di una semplice logica binaria: ce la fa/non ce la fa, è da promuovere/è da bocciare, è bravo/non è bravo. Il concetto di inclusività potrebbe forse scardinare questa logica, o almeno indebolirla (non dirò “decostruirla” perché questo mutamento, se avviene, non avviene affatto da sé, c'è anzi bisogno di molto lavoro culturale sul campo).

I BES sono stati recepiti abbastanza male: molti insegnanti li hanno identificati come un potenziale “bastone”, non certo come una carota. Si è temuto un carico supplementare di lavoro unito a una subdola manovra per diminuire gli insegnanti di sostegno (è questa la prima interpretazione che si è levata da sinistra, da parte sindacale e sui siti specializzati).
Non ne sanno quasi nulla, o forse proprio nulla, i cosiddetti "utenti" (squallido lessema neoliberista), cioé alunn* e famiglie. Del resto, in apparenza questo è un cambiamento normativo che riguarda soltanto il corpo insegnante: per gli "utenti" dovrebbe manifestarsi come surplus di tutele. Invece... Invece è nell'interesse di tutti i cittadini italiani che hanno a che fare con la scuola conoscere bene questo nuovo dispositivo (che si potrebbe chiamare “biopolitico”, per scomodare il concetto di Foucault ultiamente molto di moda): in certi casi potrebbe essere un'utile arma difensiva contro certe inerzie nocive di un'istituzione fortemente in crisi come la scuola.
I BES sarebbero un indubbio bene se venissero effettivamente usati per aumentare l'inclusività della scuola. Sulla carta sono progettati così, naturalmente come dispositivo propositivo e non come “grimaldello” decostruttivo dell'esclusione scolastica. Ma è questa una prospettiva che si può aggiungere da una posizione militante, diffidente verso le buone intenzioni meccatronico-ministeriali.
I BES possono anche essere un rischio: come ogni rivoluzionario sa, il fallimento è sempre in agguato. Con il prodigioso (e misterioso) aumento dei disturbi specifici e aspecifici dell'apprendimento, nei prossimi anni si avranno scuole che per ingrandirsi accetteranno alunni con problemi, mentre altre potrebbero scegliere una politica di “pulizia”: nonostante si parli di scuola pubblica statale, le scelte dei dirigenti possono infatti esssere diametralmente opposte, grazie a quell'altro flagello neoliberale che è la cosiddetta Autonomia scolastica3. La percentuale di BES nelle scuole potrebbe anche diventare uno stigma socialmente divisivo: qualcuno non vorrà iscriversi in una scuola con troppi bisogni speciali.
C'è ovviamente anche un'altra possibilità, e cioé che i BES non abbiano nessuna efficacia, non servano ad aumentare l'inclusività e lascino tutto così com'è, solo con qualche modulo compilato in più. In questo caso l'ominimia col personaggio egizio, omino piccolo e brutto ma vestito di piume di struzzo, risulterebbe profeticamente e tristemente azzeccata.

Bisogna soprattutto tenere conto che l'introduzione dei BES avviene in un contesto scolastico gravemente degradato, a causa della riforma Gelmini ma non soltanto: c'è un fil rouge abbastanza evidente che collega il finanziamento anticostituzionale della scuola privata, avviato dal ministro di centrosinistra Luigi Berlinguer enl 1998, con le tre "I" berlusconiane e la riforma Gelmini ("la prima e unica dopo quella di Gentile"), e con la tecnicizzazione anche della politica scolastica propria agli ultimi due governi. La criticità della situazione si manifesta in modo molto concreto: cominciano a essere frequenti le cosiddette “classi pollaio” con trentacinque alunni di cui magari, per semplice statistica, circa tre con DSA, uno o due con BES, un diversamente abile e almeno uno straniero. E poi ovviamente con molti altri disagi psicologici, sociali ed economici non facilmente formalizzabili. Si aggiunga che una simile classe-polveriera, sempre per semplice statistica, viene spesso lasciata in mano a un insegnante - più spesso una insegnante - mediamente ultracinquantenne, sovente sull'orlo del burn out anche solo per semplici ragioni anagrafiche e sociali (ho visto diverse colleghe con genitori anziani e malati faticare per fornire loro un'assistenza ormai quasi insostenibile sul piano economico).
I BES vengono dunque gettati nella mischia senza aver prima fornito ai lavoratori della scuola gli adeguati strumenti, dato che il taglio degli investimenti per la scuola pubblica non soltanto ci condanna a stazionare in edifici non a norma (e talvolta crollano) ma anche a non poter svolgere appieno e serenamente la nostra funzione.

Ma nonostante tutto questo, io penso che i BES possono comunque essere un'opportunità. Non vedo infatti che cosa dovrebbe trattenere gli insegnanti che non rinunciano all'utopia di una rivoluzione nonviolenta da attuarsi giorno dopo giorno, dall'impegnarsi per far funzionare questo dispositivo normativo in modo rivoluzionario. Mentre la nave Scuola affonda, insomma, non vedo perché dovremmo rinunciare a estendere il dominio della lotta. Mi rendo conto che la scuola come nave che affonda non è certo un'immagine rassicurante e sembra implicare che qualcuno non si salverà. L'inclusività può essere una buona scialuppa di salvataggio? Io lo voglio sperare: è un ideale che parla di una scuola aperta, forse addirittura di una futura società aperta, nel senso capitiniano dell'apertura al tu-tutti.
Bisognosi di tutta la società unitevi (dentro e fuori la scuola)!


Edoardo Acotto

1 “Il Paese va allenato. Dobbiamo usare un po' di bastone e un po' di carota e qualche volta dobbiamo utilizzare un po' di piu' il bastone e un po' meno la carota. In altri momenti bisogna dare piu' carote, ma mai troppe”.
2“Pare che in questo senso la frase sia stata usata anche da Winston Churchill, in due discorsi alla Camera dei Comuni nel maggio e nel luglio del 1943, in merito al modo in cui secondo lui andava trattato il popolo italiano. Nel 1945 Benito Mussolini riprese il tema e la locuzione in una serie di articoli sul Corriere della Sera.” (http://dizionari.corriere.it/dizionario-modi-di-dire/B/bastone.shtml#6)

      Onto-teo-logia della pigrizia (Intuizione, 10)

      Se fosse per me, l'Essere (anche Dio) se ne starebbe quieto a non far nulla, si metterebbe eventualmente in azione solo quando richiesto.
      Vantaggi e svantaggi.
      Vantaggi: apertura fondativa all'altro, grande o piccolo. Disponiblità all'ascolto della chiamata.
      Svantaggi: l'assenza d'opera è un'opzione come un'altra. Si rischia il nulla di fatto.
      Vantaggi: quiete della possibilità, potenza di non creare, non agire, non essere.

      giovedì 7 novembre 2013

      Invecchiare, 1

      Oggi alla fermata del bus c'era un gruppo di adolescenti alternusi che parlavano di un viaggio a Firenze come se fosse stato un luogo esotico, dove la gente è simpatica e a quelli che vendono il fumo puoi anche dire di no, che non si offendono, cioè puoi pure permetterti di scegliere se un altro spacciatore ha del fumo migliore.
      E se chiedi dov'è la piazza, mettiamo che sia l'equivalente di Piazza Castello, ti dicono: è di là ma ti ci accompagno, devo andare anch'io in quella direzione.

      Mi sembravano completamente deficienti, quasi in modo da farmi pena.

      Intuizione, 9 (La differenza intellettuale)

      Differenza intellettuale di classe: in Italia, chi è colto è troppo colto, o si coltiva in modo da esserlo, come se la cultura fosse un valore in sé, a-sociale.

      Chi non è colto, invece, è davvero troppo ignorante.

      mercoledì 6 novembre 2013

      Intuizione, 8

      L'angoscia per il dover far fare a mio figlio i compiti di musica mi ha ora riportato alla luce un ricordo ben rimosso: l'angoscia di quando pre-adolescente mi recavo a lezione di musica senza essere riuscito a preparare bene un solo pezzo.
      Provavo a suonare lo stesso ma li fallivo miseramente uno dopo l'altro. (Come reagiva la maestra? Mi consolava? Mi sgridava? Se ne fotteva?)
      Non capivo perché ciò accadesse: perché il tempo non mi era stato sufficiente per studiare quei dannati pezzi (Bach, Clementi, Mozart, Czerny) che tra l'altro mi piacevano moltissimo? Erano troppo difficili? Avevo perso tempo senza accorgermene? Mi ero distratto? Non sapevo proprio suonare ed era inutile insistere?

      Non v'è dubbio che la pratica della musica possa comportare molte passioni tristi.

      Appunti sui BES (per Doppiozero, Educazione Democratica)



          1. Non sono (più) un amico della filosofia cosiddetta continentale, ma da quando ho scoperto l'esistenza dei Bes ho subito pensato che si trattasse di ciò che chiamano un “dispositivo” e per di più “biopolitico”.
          2. Il meccanismo normativo si vorrebbe tecnicamente neutro, e tuttavia fondato su una logica valoriale (“inclusività”) che non può non essere – nel bene e nel male – ideologico.
          3. Inutile dire che tale dispositivo non è stato condiviso, ma imposto dall'alto, dallo stesso ministro intenzionato a trattare gli insegnanti col bastone e la carota. I BES sono perciò stati recepiti inevitabilmente come bastone.
          4. speciale = specifico = singolarità (Kierkegaard, Derrida, Deleuze)
          5. inclusione = descolarizzazione? (se tutto è incluso nulla è incluso e nulla è escluso). Questo è un punto su cui molti critici radicali della scuola capitalista dissentiranno, e doppiamente. Innanzitutto qualcuno potrebbe dire "anziché descolarizzare la società, io vorrei scolarizzarla" (Enrico M.). Altri, più sospettosamente, potrebbero dire "Tutta la scuola è un "dispositivo biopolitico". Come la chiesa, la scuola si presenta come una istituzione salvifica. Extra Scholam nulla salus. I BES corrispondono al perdono cattolico: il dispositivo che abbraccia gli esclusi, riaffermando l'universalità della salvezza - e quindi l'universale potere dell'istituzione." (Antonio V.). Quindi, chi vuole un radicale engagement dell'insegnante-intellettuale può vedere troppo poca scuola nella società; chi invece, più anarchicamente, colloca l'impegno emancipativo al di fuori delle istituzioni può vedere troppa scuola nell'attuale società. Lo scolarizzatore dovrebbe sperare che i BES scolarizzino la società, ma dato il degrado sociopolitico non si fida dell'ennesima mossa tecnocratica. Il descolarizzatore, per parte sua, non crede per principio che un dispositivo possa portare a una buona pratica, e vede nei BES un nulla agghindato in ricche viste burocratiche.
          6. In entrambi i casi, i BES appaiono come un dispositivo minaccioso e potenzialmente negativo.
          7. Non voglio per forza fare quello della "terza via", per quanto, con l'avanzare dell'età, la mediazione hegeliana intesa come dialettica negativa mai riconciliata, mi appaia come un orizzonte sempre più nobile. Ma voglio provare a guardare la cosa stessa, ossia i BES nella concreta pratica lavorativadegli insegnanti italiani, nel 2013.
          8. Inutile fingere che il contesto scolastico non sia gravemente degradato a casua della riforma Gelmini, ma non soltanto (c'è a mio parere un fil rouge abbastanza evidente che collega la violazione della Costituzione da parte di Luigi Berlinguer, ministro del governo Prodi, con le tre "I" berlusconiane, la riforma Gelmini ("la prima e unica dopo quella di Gentile" e la boutade dell'ex ministro tecnocratico, a metà tra gaffe e slogan liberalfascista: ''Il Paese va allenato. Dobbiamo usare un po' di bastone e un po' di carota e qualche volta dobbiamo utilizzare un po' di piu' il bastone e un po' meno la carota. In altri momenti bisogna dare piu' carote, ma mai troppe''.
          9. Il Ministro Profumo disse la sua infelice frase proprio mentre pareva voler imporre l'orario di 24 ore settimanali di lezione anziché le attuali 18. Ora si parla invece di ridurre a 4 gli anni di scuola superiore: un provvedimento che porterebbe alla perdita netta di quasi 40mila cattedre con un risparmio per le casse del ministero di oltre un miliardo e 300 milioni di euro all'anno. 40mila posti di lavoro in meno, praticamente un'ecatombe per la classe insegnante, che colpirebbe soprattutto gli utlimi arrivati, i precari e i giovani.
          10. Neoliberalismo e volontà politica distruttiva della scuola pubblica: per quello che posso giudicare direttamente, la riforma dell'università abbia prodotto un incredibile esodo di giovani cervelli verso l'Europa. Penso che relativamente alla scuola, la strategia di distruzione sistematica delle risorse pubblica sia meno evidentemente vittoriosa che per l'università: il servizio offerto dalle scuole private non giustifica ancora l'investimento da parte di chi se le potrebbe permettere. I ricchi continuano a mandare i loro figli nella scuola pubblica, e continueranno a farlo ancora per un po' di tempo.
          11. Ma le cose cambiano rapidamente. Cominciano a essere frequenti le cosiddette classi-pollaio: 35 alunni, di cui, per semplice statistica, circa 3 DSA, 1-2 BES, 1 diversabile, 1 straniero + altri disagi socioeconomici non formalizzabili. Una classe simile, sempre per semplice statistica, viene spesso lasciata in mano a un lavoratore mediamente 55enne, sovente sull'orlo del burn out per una molteplicità di ragioni psico-socio-economiche. Senza strumenti didattici e culturali adeguati. Chi insegna la materia CLIL subisce un corso di 150 ore (magari sulla linguistica dei corpora, un argomento importante in ambito universitario: del tutto inutile per una scuola superiore); ci impongono (nel Piemonte a governo cattoleghista) un costoso test alcolimetrico ma ho delle colleghe ultracinquantenni, pur molto brave, che non sanno fare un powerpoint. (Man mano che descrivo la situazione mi sembra di scrivere un libro di fantascienza distopica. Invece è la scuola italiana del 2013: da giovane, seppur apocalittico, non la immaginavo certo così).
          12. BES: paradosso e ipocrisia.
          13. potenziale pregio: l'attenzione alla responsabilità condivisa degli insegnanti
          14. “resistenze”, secondo Ianes
          15. Io per ora non vedo resistenze attive, semmai passive e inconsce. Persino la collega di destra, nonostante in collegio docenti sbraitasse chiedendo garanzie per cui i BES non si sarebbero trasformati in un arma scassa-bocciatura, mi ha con la massima calma documentato delle critiche interessanti e costruttive sulla questione della programmazione per competenze, altra innovazione europeista gelminata alla quale si stenta ad adeguarsi per la vaghezza e la mancanza di linee guida.
          16. Un'opportunità: perché no? Non vedo che cosa dovrebbe trattenerci, noi insegnanti che non rinunciamo all'utopia di una rivoluzione nonviolenta da attuare giorno per giorno, dall'mpegnarci per far funzionare questo dispositivo IN MODO RIVOLUZIONARIO.
          17. Un rischio: come ogni rivoluzionario sa, il fallimento è sempre in agguato. Ma mentre il Titanic affonda non vedo perché dovremmo rinunciare all'abolizione di qualche ingiustizia, e non dico "piccola", perché stiamo parlando di biopolitica, ossia, pià semplicemente, delle vite degli altri. Anche se sappiamo che le scialuppe di salvataggio non basteranno per tutti, se qualcuno pretende di non far salire un ragazzo perché quella scialuppa non è adatta a lui, io insorgo con tutto me stesso e faccio di tutto per far salpare questo potenziale escluso.
          18. La scuola come scialuppa di salvataggio, mi rendo conto, non è un'immagine rassicurante, sembra implicare che qualcuno non si salverà affatto. Ma l'inclusione è un ideale che mi piace. Mi piace perché sembra parlare di una scuola aperta, probabile nucleo originario di una società aperta. Aperta in senso assoluto, non nel senso formale di un qualsiasi neoliberalismo popperiano (con tutto il rispetto per Popper, non per i neoliberali).
          19. Bisognosi di tutta la società unitevi!

              lunedì 4 novembre 2013

              Musica come pensiero (Scrivendo la tesi)

              Se non ascolto una buona musica, il mio cervello si impalla rapidamente e rallento il ritmo.
              Ascoltare musica (in realtà senza ascoltarla) mi aiuta a concentrarmi, sembra dare impulso al movimento del mio pensiero.
              Potrebbe essere una caratteristica peculiare del mio cervello, ma ovviamente non lo è: e l'osservazione converge con l'interpretazione della musica come arte più metafisica (Schopenhauer).
              L'impalpabilità della metafisica altro non è che la vita della menta vissuta dall'interno.

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              Quando lo stress psicofisico da scrittura è massimo (con effetto di inspiegabile stanchezza quasi morbosa) non basta più ASCOLTARE. Devo mettermi al pianoforte e leggere qualche pezzo nuovo, che so piacermi all'ascolto.

              In questo caso, il n.3 della Musica Ricercata di Ligeti.

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              Il pop-rock invece è fortemente distraente. Posto che lo ascolto solo quando mi sento nel giusto mood, ma la presenza del testo, ancorché in inglese, e ancorché io per decenni non mi sia impegnato a comprendere nessun testo, tuttavia interferisce oggettivamente con la scrittura. Forse anche perché sto scrivendo in inglese.
              Insomma, non posso ascoltare la colonna sonora di Until the End of the World.

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              E poi il minimalismo. L'ossessività del Glass degli anni Settanta, per esempio North Star: un perfetto sottofondo dinamico del pensiero.

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              Mozart no! Ti rilassa troppo, ti rende felice, ma tu non devi essere felice: devi PENSARE E SCRIVERE!

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              (2 dicembre)
              Mi sembra incredibile ma durante i giorni del congedo mi sono SAZIATO di musica, ne ho ascoltata tantissima, in continuazione. Alla fine non ne volevo più. C'è un limite anche alle droghe.

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              (19 dicembre)

              RUSH FINALE: su Spotify sto ascoltando tutti i dischi di Nico Muhly da circa 6 ore. Lo ascolterò per tutta la notte. L'ho scoperto due giorni fa e la sua musica mi sembra PERFETTA. Perfetta, è senza dubbio perfetta.
              Il mio ideale musicale è una specie di postmodernismo non manieristico, profondo, intelligente e fruibile. Nuova musica per le masse

              La musica di Muhly è un flusso discreto che punta a una sperimentazione rilevante, alla pura ascoltabilità dell'oggetto musicale.
              La sua dimensione strutturante sembra essere quella melodica (violino e archi), nonostante le sovrapposizioni di molti timbri. nulla sembra artefatto, nulla sembra puramente intellettuale-spirituale o puramente meccanico-naturale.
              Musica universale hegeliana!

              sabato 2 novembre 2013

              In memoriam magistri mei dilectissimi

              Scrivo di  Leo per fissare i miei ricordi. Così facendo forse gli disubbidisco per l'ultima volta, perché sottraggo tempo allo studio e alla mia tesi di dottorato. Del resto lui non potrà più leggerla.

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              La prima volta che l'ho visto, non potevo sapere che Leonardo sarebbe diventato per me una figura paterna, l'unica figura paterna che mi rimanesse. Quando l'ho conosciuto aveva 55 anni: l'età che aveva mio padre quando è morto.

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              Una volta andavo a correre di domenica insieme a J. e avevo insistito perché venisse anche Leo. Volevo convincerlo della bellezza della corsa. Lui giocava a calcetto tutte le settimane, ma non andava mai a correre perché la cosa non lo attraeva per nulla. La prospettiva di venire con me e J, però, alla fine lo aveva convinto.
              Io e Leo raggiungemmo il luogo della corsa ognungo con la propria auto. Prima di posteggiare gli telefonai - mancavano dieci minuti circa all'appuntamento - e lui mi disse che aveva trovato traffico e che non c'era parcheggio, perciò avrebbe tardato un po'. Ma uscendo dalla mia auto dimenticai il telefonino.
              Raggiunsi J. che non aveva avuto alcun interesse particolare per coinvolgere Leo nell'impresa domenicale. Anzi, J. aveva lavorato con lui all'università, ma non si erano lasciati molto bene.
              J e io iniziammo a saltellare aspettando Leo: i minuti passavano e io mi accorsi di non poter comunicare con lui perché avevo dimenticato il cellulare in macchina.
              J., che aveva un appuntamento di lì a poco, iniziava a manifestare il desiderio di iniziare a correre, io ero imbarazzato e non sapevo che fare. Avrei potuto aspettare Leo, ma mi dispiaceva anche lasciare J. da solo. Aspettammo un quarto d'ora e poi partimmo per la nostra corsa, mentre mi dicevo che avremmo forse incontrato Leo al ritorno...
              Il giorno dopo, in università, andai da Leo per scusarmi dell'incidente. Lui mi bloccò subito, e con una delle sue facce più serie e raggelanti mai viste mi disse: "di questa cosa non parleremo MAI PIÙ".
              Perciò non ho mai saputo che cosa abbia fatto Leo una volta arrivato all'appuntamento, non vedendoci. Me lo immagino che quando realizza di essere stato abbandonato si adira e senza nemmeno fare due passi nel parco si accende una sigaretta e torna in macchina.

              ***

              Leo tifava Inter e per almeno tre compleanni di fila ho cercato di regalargli "Interismo, leninismo" (Manifestolibri). Ma ogni volta mi sono mosso all'ultimo momento e non l'ho mai trovato in libreria. E non ho mai compiuto il semplice gesto di ordinarlo.
              Ci tenevo a regalargli quel libro, ma forse avevo paura che a lui non piacesse e che me lo criticasse spietatamente come faceva spesso, anche con certe mie trovate che a me sembravano buone, mentre per lui erano evidenti stronzate.

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              Leonardo leggeva molti libri. Un paio di anni fa disse che stava terminando l'Orlando furioso. Io mi stupii e lo invidiai molto, perché da giovane ho letto d'un fiato la Gerusalemme Liberata, ma l'Orlando mai.

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              Una sera siamo andati insieme alla festa di un centro sociale anarchico: i partecipanti portavano da bere, si mettevano le bevande in frigo e poi ci si serviva del proprio.
              Il frigo stava dietro un bancone e alcuni visitatori che non avevano ben chiara la modalità auto-organizzata di fare festa chiedevano da bere a chi stava vicino al bancone. In questo modo, Leo servì alcuni ragazzi di birre e cocktails. Un tizio volle lasciargli dei soldi per il centro sociale: evidentemente aveva preso Leo per uno dei padroni di casa e lui si era comportato come tale, servendo tutti e infilando dentro al frigorifero i soldi non richiesti.

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              Questa è una delle mail piene di humour che inviava sempre a tutto il Dipartimento: "Sono felice per il nostro laureando, ma non comprendo bene questo flusso di messaggi. A me pare che sia IBM research a dover essere onorata di aver un nostro laureato presso di loro, piuttosto che viceversa. Questo, se non altro, perchè la ricerca che si fa in Dip non ha nulla da invidiare a quella di IBM (a parte la quantità di soldi). Leonardo

              ***

              L'ultima volta che ho parlato della mia tesi con Leo e' stato un mese e mezzo fa. Gli ho detto che stavo aggiungendo vari paragrafi man mano che mi venivano in mente questioni connesse al topic, ma che il rischio era di divagare troppo. "Si' - mi disse - ormai ho capito come funziona la tua mente".

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              Quando un mese fa ho visto Leo per l'ultima volta al matrimonio di A., lui disse a Viviana: la prossima volta che ci vediamo in chiesa potrebbe essere quella buona

              *** 
              Davanti alla camera ardente facemmo un po' di conversazione con la dolcissima figlia di Leo. Non sapevamo se lui avesse lasciato indicazioni per la sua sepoltura e lei disse che quando l'argomento saltava fuori Leo rispondeva che potevano fare come volevano, non era affar suo: “quando siamo morti siamo solo carne per i vermi”.
              Il suo humour poteva essere anche molto nero, come in questo caso, ma Leo non era mai cinico, tutto quello che diceva per ridere lo diceva con un sorriso autentico che testimoniava quanto fosse forte in lui la vis comica (tanto quanto la vis polemica).
              Penso che non sia vero che dopo la morte non ci sia niente: ci sono i cari superstiti, il loro ricordo vivo e molteplice è una forma di vita del defunto, una forma molto simile alla verità, al senso della vita estinta (solo) fisicamente. L'anima esiste nelle tracce, e perciò non è mai individuale.

              ***

              Pensavo ormai di conoscerlo da un'infinità di tempo, da sempre, come un parente più grande. E invece ora che è morto mi accorgo che lo conoscevo soltanto da 6 anni.

              Ezra Pound dixit, 1

              [...]
              Here did they rites, Perimedes and Eurylochus,
              And drawing sword from my hip
              I dug the ell-square pitkin*,
              Poured we libations unto each the dead,
              First mead and then sweet wine, water mixed with white flour
              Then prayed I many a prayer to the sickly death's-heads,
              As set in Ithaca, sterile bulls of the best
              For sacrifice, heaping the pyre with goods,
              A sheep to Tiresias only, black and a bell-sheep
              Dark blood flowed in the fosse,
              Souls out of Erebus, cadaverous dead, of brides
              Of youths and of the old who had borne much,
              Souls stained with recent tears, girls tender,
              Men many, mauled with bronze lance heads,
              Battle spoil, bearing yet dreory arms,
              These many crowded about me, with shouting,
              Pallor upon me, cried to my men for more beasts,
              Slaughtered the herds, sheep slam of bronze,
              Poured ointment, cried to the gods,
              To Pluto the strong, and praised Proserpine.,
              Unsheathed the narrow sword,
              I sat to keep off the impetuous impotent dead,
              Till I should hear Tiresias
              [...]

              (Cantos, I)



              * Stupidi lettori che non apprezzano: "All the characteristic early pathologies are there in this later piece - the pointless inversions - 'poured we', the invented archaisms - 'the ell-square pitkin', the invented words which add no extra meaning or force to what they evidently mean - 'swart', and words which have not been used outside 'poetry' in English for generations - 'unto'. This is what makes Pound a case for diagnosis rather than a poet for understanding or appraisal."

              Onorare i Morti ascoltando musica a palla

              A mio padre i musical americani piacevano moltissimo: quando li facevano vedere in televisione lui se li riguardava sempre tutti. La consideravo una sua idiosincrasia, ma doveva essere piuttosto condivisa dalle persone della sua età e della sua estrazione sociale piccoloborghese.
              I suoi preferiti erano quelli con Fred Astaire, forse il suo eroe spettacolare insieme a Frank Sinatra. Aveva una vera venerazione per Gershwin, in particolare I got Rhythm (lui non era molto portato per la musica, nonostante qualche tentativo giovanile. Del resto da bambino si era rotto l'anulare destro e il dito gli era rimasto rigido, povero papà, da bambino mi sono fatto mostrare la rigidità di quel dito un'infinità volte).
              Gli piaceva anche molto West Side Story di Leo Bernstein.

              Oggi non vado al cimitero, dove non c'è un cazzo da ascoltare: per ricordare il mio papà morto. Me ne sto a casa e mi ascolto a tutto volume West Side Story e Un americano a Parigi.
              Se alzo molto il volume magari si sente pure aldilà.



              PS: forse è la sua passione americanista che mi ha reso facile appassionarmi alla speculare passione di Woody Allen per i musical e i "vecchi film".

              Segreti che non devono andare perduti come lacrime nella pioggia, 1

              Da piccolo, e ancora oggi per il ramo friulano della mia famiglia (e per i parenti e gli amici dei miei parenti), il mio soprannome era DIDI.

              Pochissimi orami mi chiamano così, ed è forsa ora che io inizi a domandarmi dov'è scomparso quel bambino dal nome così carino.

              Emanuele Severino dixit, 1

              "Eterno ogni nostro sentimento e pensiero, ogni forma e sfumatura del mondo, ogni gesto degli uomini. E anche tutto ciò che appare in ogni giorno e in ogni istante: il primo fuoco acceso dall'uomo, il pianto di Gesù appena nato, l'oscillare della lampada davanti agli occhi di Galileo, Hiroshima viva ed il suo cadavere. Eterni ogni speranza ed ogni istante del mondo, con tutti i contenuti che stanno nell'istante, eterna la coscienza che vede le cose e la loro eternità e vede la follia della persuasione che le cose escano dal niente e vi ritornino - la follia che domina il mondo. Eterna anche questa follia; e il suo esser già da sempre oltrepassata nella verità e nella gioia".

              La filosofia futura, Milano, 1989, pag. 280

              venerdì 1 novembre 2013

              Aldo Capitini dixit, 1

              "Tutti gli esseri che mai furono e che sono, morti e viventi, costituiscono una compresenza che s'accresce dei nati, che è tenuta insieme ed unificata dalla produzione dei valori"

              LA COMPRESENZA DEI MORTI E DEI VIVENTI, Il Saggiatore, Milano 1966